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Stralcio da lodo arbitrale Roma, 26 settembre 2008 n° 125. Sospensione illegittima dei lavori: sedi e termini per l’iscrizione (e conferma) delle riserve dell’appaltatore

Collegio Arbitrale costituito da:

Prof. Avv. Maurizio Benincasa (Presidente) – Ing. Arturo Varzi (Arbitro) – Avv. Antonio Fuscà  (Arbitro)

La difesa del Comune, sul punto, è basata su una serie di preliminari eccezioni di intempestività e/o inefficacia delle riserve che non appaiono condivisibili per i motivi che seguono.
2.2 In merito alla eccezione di tardività della riserva apposta (solo) nel verbale di ripresa dei lavori del 24.2.2004
Il Comune convenuto assume che la riserva per la rivendicazione dei maggiori oneri correlati al periodo di fermo operativo iniziato in data 7.11.2002, sia stata apposta dall’appaltatore solo in occasione della sottoscrizione del verbale di ripresa dei lavori mentre avrebbe dovuto essere iscritta nel verbale di sospensione.
Ad avviso del Collegio, l’eccezione del Comune di YYY non può trovare accoglimento e la riserva esplicata dall’impresa nel verbale di ripresa dei lavori è da ritenere tempestiva ed ammissibile considerato che, come ripetutamente affermato ad unanimità dalla giurisprudenza “L’appaltatore di opere pubbliche, per poter ottenere il compenso dei maggiori esborsi e del pregiudizio derivategli dalla sospensione dei lavori, ancorché illegittimamente disposta dall’appaltante, ha l’onere di formulare tempestiva riserva nel verbale di ripresa dei lavori stessi; e ciò a pena di decadenza, avuto presente che detto verbale costituisce documento idoneo all’osservanza dell’onere in questione e che, a sua volta, la ripresa dei lavori, in quanto segna la cessazione della continuità del fatto produttivo di quel pregiudizio e di quei maggiori esborsi, ne evidenzia la rilevanza causale sulle pretese dell’appaltatore medesimo” (Cass. Civ. 26 gennaio 1985 n. 406) ; “In considerazione del carattere continuativo del rapporto che si instaura per effetto del contatto di opera pubblica, l’onere della riserva, secondo una valutazione coerente con i canoni della diligenza e della buona fede, va adempiuto nel momento in cui emerga il fatto produttivo di maggiori costi per la sua prestazione; di conseguenza, in tema di sospensione dei lavori per causa imputabile alla P.A., la riserva della richiesta di ulteriori compensi o indennizzi deve essere formulata quanto meno nel verbale relativo alla ripresa dei lavori, dato che in tale momento l’appaltatore è in grado di apprezzare pienamente l’incidenza negativa della suddetta sospensione” (Cass. Civ., Sezione I, 17 dicembre 1987 n. 9396) L; “Vigente la disciplina del R.D. 25 maggio 1895 n. 350, l’iscrizione della riserva sul verbale di ripresa assolve il relativo onere nel caso di illegittima sospensione degli stessi” (Lodo Roma 9 dicembre 2002, in Arch. Giurr. OO.PP. 2003).
In definitiva, l’appaltatore può formulare tempestivamente la propria riserva anche per la prima volta nel verbale di ripresa (Cass. Civ., I Sez., 24 novembre 1999 n. 13038; Cass. Civ., I Sez., 5 maggio 1998 n. 4502; Cass. Civ., I Sez., 22 ottobre 1998 n. 10502; Cass. Civ., I Sez., 27 marzo 1993, n. 3733,Cass. Civ., I Sez., 6 dicembre 2000 n. 15485).
L’eccezione comunale è comunque irrilevante anche sotto altro profilo considerato che la protrazione del fermo operativo era (di fatto) stata determinata da un lungo ed ingiustificato iter tecnico-burocratico connesso alla redazione ed approvazione di una perizia di variante che , diversamente da quanto rappresentato nel verbale di sospensione, non aveva affatto contemplato le lavorazioni occorrenti a contrastare la falda acquifera o ad adeguare l’opera a non meglio precisate (sopravvenute) normative.
In definitiva, al momento della sospensione dei lavori, l’appaltatore era stato indotto a confidare su una (seppur parziale) legittimità della sospensione per effetto di un eventuale ius superveniens e, comunque, appare ragionevole ritenere che la ditta XXX coltivasse l’ovvia aspettativa di una definizione delle problematiche emerse in tempi assai brevi, rivelatisi successivamente del tutto sproporzionati.
Dunque, nessun obbligo di tempestiva riserva poteva operare a carico dell’appaltatrice, al momento della sospensione, non avendo – la medesima – la possibilità di percepire obiettivamente l’incidenza dannosa del fermo in atto, dovendosi invece ritenere idonea ed efficace la riserva iscritta nel verbale di ripresa giacchè in quel momento, sorge per l’appaltatore il relativo onere.
E non giova, a favore della tesi comunale, il richiamo all’art. 24, comma 3, del Capitolato Generale di Appalto di cui al D.M. 145/2000, secondo cui la riserva nel verbale di ripresa avrebbe dovuto essere preceduta da diffida dell’impresa, considerato che secondo quanto già accertato dal Collegio, l’appalto è soggetto alla disciplina del Reg. n° 350/1895 e al Cap. Gen. di Appalto di cui al D.P.R. n° 1063/1962.
2.3 In merito alla intempestiva iscrizione della riserva nel registro di contabilità ed alla sua inefficacia per difetto della relativa conferma nel Conto Finale dei lavori.
La difesa comunale eccepisce, senza una precisa argomentazione al riguardo, l’ intempestiva iscrizione delle riserve nel registro contabile con la conseguente irreparabile decadenza dell’impresa.
Assume, poi, che l’iscrizione delle riserve nel registro di contabilità è condizione non sufficiente per la loro efficacia, essendo indispensabile che le stesse siano comunque confermate all’atto di sottoscrizione del conto finale.
Sicchè la sede delle domande sarebbe sempre composita: registro di contabilità e conto finale; condizione quest’ultima mancante nella fattispecie.
Ad avviso del Collegio entrambe le eccezioni non meritano accoglimento.
Quanto alla prima eccezione è sufficiente rilevare che la riserva apposta nel verbale di ripresa dei lavori del 24.2.2002 è stata successivamente (e validamente) confermata mediante integrale trascrizione nel registro di contabilità, avvenuta alla prima occasione utile, quando in data 12.10.2004 il documento contabile de quo veniva sottoposto all’impresa per la sottoscrizione delle partite contabili afferenti il 6° SAL.
Giova rammentare, al riguardo, che ai sensi dell’art. 54 del R.D. 25 maggio 1895 n. 350 “Il registro di contabilità deve essere firmato dall’appaltatore con o senza riserve nel giorno in cui gli viene presentato”.
Pertanto, poiché risulta che successivamente alla ripresa dei lavori il registro di contabilità è stato presentato all’impresa, per la prima volta, in occasione della suindicata circostanza la riserva ivi trascritta è del tutto tempestiva.
Quanto alla mancata conferma della riserva sullo stato finale dei lavori – di fatto mai predisposto dalla Stazione Appaltante – il Collegio è dell’avviso che, al pari di tutte le altre obbligazioni contrattuali, la compilazione del documento de quo è un atto dovuto dal Committente che deve avvenire entro i termini pattuiti – nel caso di specie tre mesi dalla data di ultimazione, ex art. 5/d del C.S.A – senza essere rinviato ingiustificatamente ad libitum per ovviare ad esigenze proprie della Stazione Appaltante o ad inadempimenti della medesima, tali da determinare uno slittamento sine die della conferma finale delle pretese dell’appaltatore e l’inammissibile pretesa di invocare, quindi, una decadenza che in concreto non può operare.
Infatti, ai sensi dell’art. 64 del cit. regol. 350/1895 “..l’ing. capo …inviterà l’appaltatore a prendere cognizione del conto finale ed a firmarlo entro un congruo termine che non potrà essere maggiore di 30 giorni…… Se l’appaltatore non firmerà il conto finale nel termine sopra indicato, o se lo sottoscriverà senza confermare le domande già formulate nel registro di contabilità, nei modi prescritti, il conto finale si avrà come da lui definitivamente accettato”.
Nella specie, dunque, la Committente ha ingiustificatamente omesso di procedere alla emissione dello Stato Finale dei lavori, nonostante la diffida dell’impresa del 21.10.2005, quando erano già abbondantemente ed inutilmente decorsi i termini capitolari a tal fine stabiliti.
L’Impresa quindi, è stata materialmente ed obiettivamente impossibilitata ad iscrivere riserva sullo stato finale a causa del comportamento omissivo del Comune.
In ogni caso va precisato che le riserve iscritte in contabilità conservano la loro efficacia ai sensi e per gli effetti di cui agli artt 53 e 54 del RD 350/1895.
La mancata conferma delle riserve stesse sullo stato finale ai sensi dell’art 64 del RD 350/1895 implica solo una eventuale rinuncia “alle domande già formulate nel registro di contabilità durante lo svolgimento dei lavori ai termini dei precedenti articoli 53 e 54 “e accettazione della contabilità finale.
Solo in tal caso le riserve potrebbero in ipotesi perdere efficacia.
Nella specie, peraltro, la conferma delle riserve, in difetto del Conto Finale stante l’inerzia della Stazione Appaltante, è avvenuta attraverso la domanda di arbitrato che, per consolidata giurisprudenza in materia, ha effetto equipollente al registro o ad altro documento contabile ed è idonea, quindi, a raggiungere la finalità propria della riserva.
Infatti sul punto la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che l’intendimento dell’appaltatore di insistere nelle pretese in precedenza avanzate, e di rendere edotta la stazione appaltante che le stesse non sono state abbandonate (Cass. 13589/2000) è desumibile da altro fatto giuridico, come nell’ipotesi, in cui l’appaltatore abbia già provveduto a far valere in via giudiziaria o mediante procedimento arbitrale (Cass. 8532/2003) la propria pretesa di pagamento della posta oggetto della riserva (Cassazione Civile Sent. n. 11852 del 22-05-2007).
In conclusione sia in base alla normativa relativa alle riserve che ai principi ad essa sottesi la riserva de qua è del tutto efficace.
2.4 In merito alla presunta inefficacia della riserva per l’incondizionata accettazione dell’atto di sottomissione.
Il Comune di YYY afferma che l’Impresa ha sottoscritto, con riferimento alla perizia di variante n° 3, l’atto di sottomissione impegnandosi ad eseguire i lavori senza sollevare eccezione alcuna e, con ciò, sarebbe decaduto implicitamente dal diritto di rivendicare i danni patiti e, in genere, da ogni pretesa per maggiori oneri.
Il Collegio ritiene l’eccezione infondata, posto che la sottoscrizione di un atto aggiuntivo o di sottomissione ha, come unico effetto, quello di impegnare l’appaltatore ad eseguire ulteriori lavori rispetto a quelli previsti nel contratto principale e non costituisce la sede per l’iscrizione delle riserve né, in difetto di una espressa convenzione contraria delle parti, per la rinunzia a diritti eventualmente maturati (cfr., ex multis, lodo Roma, 29.5.1997, n. 52, in Arch. giur. OO.PP., 1999, 229: “La pattuizione mediante la quale l’Impresa dichiara di accettare le variazioni apportate, di non avere alcun maggiore compenso od indennizzo… per il maggior tempo in cui resterà impegnato per l’esecuzione di tutti i lavori previsti, non può essere interpretata nel senso di ricomprendere nella rinuncia i danni per l’allungamento dei tempi di esecuzione dipendenti da cause diverse dall’esecuzione stessa delle maggiori opere previste dovendo tale impegno riferirsi ai tempi tecnici normali…”; lodo, 01.04.1999, in Arch. giur. OO.PP., 2001, 114: “La sottoscrizione senza riserve di un atto di sottomissione non ha alcuna efficacia transattiva di controversie insorte o abdicativa di future pretese, salvo che dal suo contenuto non emerga l’espressa rinunzia del firmatario ai propri diritti; lodo 09.07.1987, in Arch. giur. OO. PP., 1988, 1156: “L’atto di sottomissione è un patto aggiuntivo che diviene parte integrante del contratto (art. 343, Allegato F, legge n. 2248 del 1865) e, pertanto, ha finalità esclusivamente realizzative di nuove opere e non transattive di controversie insorte né abdicative di pretese future; qualora l’appaltatore nell’atto di sottomissione si impegni ad eseguire senza eccezione e riserva alcuna i lavori suppletivi e di variante, tale impegno non può assurgere a rinuncia ad eventuali diritti riguardanti i lavori relativi alla variante stessa”).
In definitiva, per affermare un fenomeno di decadenza o abdicativo di tali diritti, stante la particolare natura negoziale dell’atto, dovrebbe configurarsi un’ipotesi di rinuncia espressa ed univoca che non è, quindi, presumibile. (Cass. Civ. 17 marzo 1979 n. 691; Lodo 11 ottobre 2004 n. 60, in Arch. Giur. OO.PP, 2005, 105; lodo 13 maggio 1997 n. 50 in Arch. Giur. OO.PP. 1999, 204; lodo 27 giugno 1997, in Arch. Giur. OO.PP. 1998, 340; lodo 11 luglio 1996, in Arch. Giur. OO.PP. n. 109, 1998, 904; lodo 9 settembre 1993 n. 94, in Arch. Giur. OO.PP. 1995, 237 ; lodo 27 febbraio 1993 n. 16, in Arch. Giur. OO.PP. 1994, 573; lodo 20 luglio 1991 n. 73, in Arch. Giur. OO.PP. 1992, 1214)

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