Collegio Arbitrale costituito da:
Dott. Italo Vitellio (Presidente) – Ing. Arturo Varzi (Arbitro) – Ing. Vincenzo Belmonte (Arbitro)
2. La questione centrale di cui è investito il Collegio Arbitrale riguarda le contrapposte domande di risoluzione del contratto di appalto, stipulato in data 28.12.2005 n° 1634 di rep., in danno dell’altra parte per inadempimento alle obbligazioni assunte.
Invero, a fronte della domanda della ditta XXX contenuta nell’atto di accesso arbitrale notificato in data 30.06.2008 per ottenere la pronuncia di risoluzione del contratto per fatto e colpa del committente, il Comune di YYY ha proposto domanda riconvenzionale, con l’atto di resistenza del 30 luglio 2008, per la rescissione del contratto in danno dell’impresa
Non vi è dubbio che le opposte domande rientrano nella giurisdizione di questo Collegio, in quanto, nell’ambito del rapporto di appalto di opere pubbliche, le parti – Amministrazione committente e privato appaltatore – agiscono in posizione paritaria, secondo i diritti e le obbligazioni che sorgono dal contratto, avente natura essenzialmente privatistica, e solo in determinati casi alla pubblica Amministrazione è riservato dalla legge un potere di autotutela che incide sul rapporto di diritto privato in corso tra le parti e che, comunque, nel caso di specie non è stato esercitato.
Posto quanto sopra, l’indagine deve essere rivolta ad accertare se esistono le condizioni della risoluzione richiesta da entrambi le parti in danno dell’altra.
Ai fini della pronuncia di risoluzione del contratto in danno, per potersi stabilire, nell’esposto contesto di reciprocità di addebiti di inadempienza, se e da quale parte sia stato compiuto inadempimento idoneo a giustificarla, il Collegio ha effettuato una accurata indagine ricognitiva, in funzione di un giudizio unitario e comparativo dei reciproci comportamenti, onde accertare la veridicità dei rispettivi addebiti ed apprezzarne l’effettiva gravità ed efficienza causale rispetto alla finalità economica del contratto ed alla conseguente influenza sulla sorte di esso.
In esito a tale accertamento, svolto al fine di cogliere nella successione logica e non solo cronologica dei fatti, il nesso causale delle inadempienze, nonché la loro gravità ed adeguatezza, il Collegio ritiene che nella fattispecie sussistano i presupposti per poter pronunciare, come richiesto dall’attrice, la risoluzione del contratto di appalto per colpa del Comune di YYY, per i seguenti motivi:
– il lungo periodo di inattività parziale del cantiere, a causa di una consegna frazionata dei lavori per l’indisponibilità parziale delle aree oggetto d’intervento ed interessanti – in riferimento ai corrispettivi di appalto – quasi i 2/3 delle opere appaltate, con conseguente dilazione dei tempi di esecuzione che ha determinato gravi conseguenze economiche per l’appaltatore, tali da determinare una sensibile alterazione del sinallagma contrattuale;
– la mancanza di adeguata cooperazione – in corso d’opera – della Stazione appaltante che, venendo meno al proprio obbligo contrattuale di porre tempestivo e risolutivo rimedio agli impedimenti che non avevano consentito una regolare prosecuzione dei lavori progettuali, non aveva garantito all’impresa appaltatrice la possibilità di compiere i lavori nei modi e termini stabiliti.
Non vi è dubbio che in materia di appalti deve ritenersi sussistente a carico del committente, e tale principio è generalmente affermato dalla giurisprudenza, un dovere di cooperazione alla esecuzione del contratto, dovere che si estrinseca nella consegna totale delle aree, nella fornitura di adeguati progetti ed in generale nella eliminazione di eventuali ostacoli all’attività dell’appaltatore e nel porre in essere tutti gli adempimenti amministrativi per la completa e puntuale realizzazione dei lavori.
E tale dovere di cooperazione assume una particolare intensità nell’appalto di opere pubbliche nel quale l’attività dell’appaltatore è vincolata al concorso della pubblica Amministrazione in modo più accentuato che negli appalti privati.
D’altra parte il creditore deve comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 Cod. civ.) ed eseguire il contratto secondo buona fede (art. 1375 Cod. civ.) ed il mancato rispetto di simili obblighi comporta la responsabilità del creditore per gli oneri che la mancata collaborazione ha provocato al debitore
In buona sostanza vige la regola che il principio generale dell’attribuzione del rischio delle difficoltà dell’opus all’appaltatore soffre il limite che le maggiori difficoltà non debbono dipendere da fatto dell’amministrazione, non essendo lecito al committente aggravare il rischio dell’appaltatore con il fatto proprio ed il proprio comportamento, le cui conseguenze non possono non ricadere, integralmente sullo stesso committente.
E’ altrettanto evidente che la responsabilità di quest’ultimo scaturisce sia dalla sua attività in sede di progettazione, in fase antecedente a quella di indizione delle procedure della gara d’appalto, prima ancora quindi che il vincolo contrattuale possa essere stato concluso e siano rese note le generalità dell’imprenditore che da fatti compiuti durante l’esecuzione dell’opera.
Ciò posto il Collegio osserva che il Comune di YYY aveva disposto, in data 19.12.2005, una consegna parziale dei lavori (il cui verbale veniva sottoscritto dall’impresa senza riserve) a causa della temporanea indisponibilità delle aree demaniali – non prevista nelle pattuizioni contrattuali di cui all’art. 13 del C.S.A. – che si era poi protratta per tutto l’iter esecutivo di appalto, venendo quindi meno al proprio dovere di cooperazione per garantire il puntuale compimento delle opere.
Nel verbale di consegna parziale dei lavori, disposto “sotto le riserve di legge”, la D.L. impartiva istruzioni all’impresa per “intraprendere i seguenti lavori come previsto dal cronoprogramma di progetto: allestimento e recinzione del cantiere, pulitura delle aree, rimozioni parziali” e si dava comunque atto che, ai sensi dell’art. 14 del C.S.A., le opere avrebbero dovuto essere realizzate entro i successivi 540 giorni consecutivi “cosicchè l’ultimazione dei lavori stessi dovrà avvenire entro il giorno 11 giugno 2007”: era pertanto ragionevole ritenere, anche da parte dell’impresa affidataria, che l’Ente Appaltante si sarebbe adoperato per garantire, senza interruzioni o discontinuità, l’esecuzione delle opere entro i termini originariamente pattuiti non potendosi, peraltro, ricondurre la fattispecie de qua alla consegna parziale disciplinata dalle norme regolamentari che, invero, trova la sua legittimazione nella sola ipotesi di espressa previsione capitolare.
Infatti, all’art. 130, comma 6, del regolamento generale di cui al D.P.R. 554/1999 è stabilito che “Il capitolato speciale dispone che la consegna dei lavori possa farsi in più volte con successivi verbali di consegna parziale quando la natura o l’importanza dei lavori o dell’opera lo richieda, ovvero si preveda una temporanea indisponibilità delle aree o degli immobili”; in detta ipotesi, ai sensi del medesimo comma “la data di consegna a tutti gli effetti di legge è quella dell’ultimo verbale di consegna parziale”.
Nel caso di specie, però, la norma capitolare destinata a disciplinare la consegna dei lavori (art. 13) non contemplava la possibilità di un frazionamento della medesima, sicché l’appaltatore, sin dalla fase di partecipazione alla gara, aveva legittimamente confidato che la propria organizzazione produttiva sarebbe rimasta vincolata all’appalto per i tempi espressamente pattuiti (540 giorni), per come desumibile anche dai contenuti del verbale di consegna dei lavori in cui la D.L. aveva precisato che, già da quella data, sarebbero decorsi i termini contrattuali, senza alcun riferimento (logicamente) agli effetti traslativi di un eventuale (successivo ed ultimo) verbale di consegna parziale, secondo quanto previsto al comma 6, art. 130 , del citato regolamento.
Il Collegio osserva, dunque, che al momento della sottoscrizione del verbale di consegna non era possibile presumere, a priori, una eventuale dilazione dei tempi di esecuzione delle opere, tanto più che, pur essendo dichiarata la temporanea indisponibilità di alcune aree, la D.L. aveva comunque precisato che l’ultimazione dei lavori, in conformità alle pattuizioni contrattuali, restava fissata all’11 giugno 2007.
Le travagliate vicende di appalto avrebbero poi determinato, invero, un notevole stravolgimento della condizione temporale, al punto tale da impedire all’appaltatore il compimento dell’opus, secondo i modi ed i termini stabiliti.
Ed infatti a distanza di breve tempo dalla consegna dei lavori, già in data 28 marzo 2006 il RUP, convocava le parti interessate (impresa, D.L., Soprintendenza per i Beni Architettonici, Amministrazione Provinciale di CZ “per l’esame delle soluzioni progettuali relative alle prescrizioni impartite dalla Soprintendenza, in fase di approvazione del progetto”.
La successiva comunicazione delle Ferrovie della Calabria, datata 4.4.2006, con cui veniva temporaneamente negata – al Comune di YYY – la concessione dell’area demaniale di propria competenza in attesa della “definizione degli interventi funzionali finalizzati alla ristrutturazione e potenziamento della tratta ferroviaria metropolitana “ si riverberava negativamente sul regolare svolgimento dell’appalto considerato che, con nota del 27 giugno 2006 il RUP, a fronte delle lamentele dell’impresa circa l’impossibilità di una concreta cantierizzazione delle opere ed alla sua manifestata disponibilità ad “effettuare tutte le lavorazioni che, a giudizio della D.L., non interferiscono con le problematiche in essere” (cfr fax del 26.06.2006) si premurava di precisare che le sopraggiunte difficoltà rappresentate dall’Ente ferroviario avrebbero comportato “una rivisitazione dell’impostazione dell’intero progetto”, con conseguente incertezza in ordine alla concreta possibilità di procedere all’esecuzione delle opere oggetto di appalto, secondo le originarie previsioni.
La conferma delle ravvisate incertezze si riscontra, anche, nei contenuti del verbale di sospensione dei lavori predisposto dalla D.L. ed inoltrato via fax all’impresa in data 02 agosto 2006 (ma datato 24 luglio 2006) ove, a prescindere dalla circostanza che quest’ultima si era opposta alla relativa sottoscrizione per difetto di un formale contraddittorio, l’arch. ZZZa dichiarava che “è oggettivamente impossibile per l’impresa continuare a svolgere i lavori nel suddetto cantiere” e, pertanto, in attesa della redazione della perizia di variante – autorizzata dal RUP con nota del 21.07.2006 n° 54261 di prot – per far fronte alle sopravvenuta indisponibilità di una parte delle aree ed ai miglioramenti richiesti dalla Soprintendenza ai beni architettonici, con conseguente necessità di modificare il tracciato della pista ciclabile, aveva ritenuto di disporre il fermo dei lavori.
Nel corso dei lavori emergeva, peraltro, l’ulteriore mancanza della concessione delle aree demaniali di competenza dell’Amministrazione Provinciale di YYY, il cui parere favorevole sarebbe stato rilasciato solo in data 19.06.2008 ed a cui non faceva seguito, però, alcuna convenzione con l’Ente Appaltante, probabilmente tralasciata per effetto della intervenuta domanda di risoluzione del contratto inoltrata dall’impresa a mezzo dell’atto di accesso agli arbitri.
Osserva il Collegio che nel prosieguo dell’iter esecutivo di appalto il Comune di YYY a fronte della dichiarata necessità di redigere una perizia di variante, aveva di fatto trascurato di svolgere qualsiasi attività al riguardo, nonostante le reiterate diffide dell’impresa (rimaste inevase) con cui venivano inoltrati formali solleciti ad adempiere per la tempestiva disposizione di tutte quelle attività ed iniziative necessarie a garantire una immediata e pronta esecuzione dei lavori; ad adoperarsi, quindi, per ottenere la totale acquisizione delle aree di intervento ed intraprendere la revisione progettuale onde porre definitivamente rimedio agli ostacoli che impedivano il normale prosieguo dei lavori, con riserva, in difetto, dell’esercizio della facoltà di promuovere azione giudiziale nelle opportune sedi al fine di ottenere il riconoscimento della risoluzione del contratto per grave inadempimento della S.A. (cfr. note A.R. dell’impresa del 16.11.2006, 1.12.2006, 22.12.2006).
Infatti, a fronte della richiesta dell’ATI del 16.11.2006 la D.L., con propria nota del 4.12.2006, aveva comunicato che la redazione della perizia di variante restava subordinata alla acquisizione degli elaborati tecnici necessari, ovvero a quelli occorrenti alla perimetrazione delle aree oggetto dei futuri interventi da parte delle Ferrovie della Calabria, invano richiesti a queste ultime e al RUP, senza comunque impartire alcuna istruzione all’impresa circa l’eseguibilità di una parte dei lavori appaltati che, a suo parere, restavano comunque integralmente sospesi in forza del verbale proposto al RUP ed all’impresa nel precedente mese di agosto.
A sua volta, il RUP, con nota del 11.12.2006, in “riscontro della diffida della appaltatrice” invitava la D.L. a disporre l’esecuzione dei lavori previsti al di fuori delle aree di competenza ferroviaria e di procedere alla redazione della perizia di variante.
Il Collegio osserva, dunque, che a seguito delle problematiche emerse circa la sopravvenuta indisponibilità delle aree, la possibilità di procedere alla esecuzione di una parte delle opere – nella more della redigenda perizia di variante tecnica – veniva presa in considerazione dai tecnici comunali solo a decorrere del mese di dicembre 2006, a distanza di circa un anno dalla consegna dei lavori e solo a seguito delle diffide inoltrate dall’appaltatore, secondo quanto emerge, inequivocabilmente, dai contenuti delle istruzioni impartite dal RUP alla D.L. in data 11.12.2006.
D’altronde, quest’ultima, con nota del 15.12.2006 riteneva di convocare l’impresa ad un sopralluogo da effettuare direttamente in cantiere, per il giorno 8 gennaio 2007, onde procedere alla “definizione dei lavori attualmente possibili” e, nel contempo, in pari data – ma con separata nota – manifestava al RUP le difficoltà “nel dover procedere a lavorazioni nelle more di una perizia di variante che potrebbe, qualora confermata l’indisponibilità delle aree di pertinenza delle FF.CC., modificare radicalmente gli accessi al parco” comunicando pertanto che “si procederà nei prossimi giorni a fare una valutazione delle possibili lavorazioni a cui si può dare seguito e che le sottoporrò per una valutazione, fermo il rischio che le stesse lavorazioni potranno pesantemente le possibili scelte della Perizia di Variante citata”.
Il Collegio rileva, dunque, che entrambe le note prodotte dalla D.L. in data 15.12.2006 denunciano la situazione di difficoltà dei tecnici preposti dalla S.A. a discernere le possibili lavorazioni, ancora in fase di “valutazione” e che, all’esito dei sopralluoghi da effettuare in cantiere in contraddittorio con l’impresa, avrebbero dovuto essere oggetto di una puntuale “definizione”.
Sta di fatto che non è dato conoscere con esattezza, al Collegio, le risultanze del sopralluogo effettuato inter partes, in cantiere – in data 08.01.2007 – non essendo stato prodotto in atti un eventuale verbale ma, secondo quando dichiarato dall’impresa nella successiva corrispondenza e confermato nelle proprie memorie difensive, la D.L. si era riservata di interloquire con il RUP per l’assunzione delle relative decisioni.
Ad ogni modo, con nota del 15.01.2007 indirizzata al RUP il D.L., Arch. ZZZ, affermava testualmente che “facendo seguito all’incontro del giorno 8 gennaio presso la vs. sede, volto alla definizione dell’Ufficio della direzione dei lavori in oggetto ed alle decisioni da prendere per sbloccare la situazione di stallo del cantiere generatasi……al fine di venire incontro alle esigenze dell’amministrazione di avere una D.L. che supporti in loco il RUP in modo sostanziale soprattutto nelle pratiche amministrative di sostegno all’iter realizzativo, si individua l’Ing. Franco Spatafora come unico responsabile della D.L.”.
A seguito di ulteriore sollecito dell’impresa indirizzato alla S.A., al RUP e alla D.L., per l’esatta e puntuale individuazione delle opere eseguibili il nuovo responsabile della D.L. ordinava all’impresa a “voler dare immediato inizio a tutti i lavori stabiliti nel verbale di consegna del 19.12.2005 regolarmente sottoscritto dall’impresa” senza che venisse, però, effettuata la puntuale descrizione e/o quantificazione.
Nella propria nota di replica del 09.03.2007, l’impresa, lamentando preliminarmente l’indisponibilità della D.L. ad effettuare un sopralluogo in contraddittorio per la concreta individuazione delle opere eseguibili, riteneva di produrre un proprio elenco ed evidenziava, comunque, alcune lacunosità/incompletezze degli elaborati grafici e tecnici, sia in riferimento ai profili, sezioni, particolari costruttivi delle piste ciclabili che alla mancato deposito all’Ufficio del Genio Civile delle Opere Strutturali; ad ogni modo si impegnava ad eseguire, a decorrere dal giorno 12.03.2007 l’apertura delle piste e lo scorticamento delle superfici, in attesa delle integrazioni progettuali richieste alla S.A.
Circa sette mesi dopo- nel corso dei quali la D.L. si era astenuta da impartire eventuali istruzioni o sollevare qualsiasi forma di contestazione – l’impresa inoltrava alla S.A. un ulteriore atto di diffida e contestuale atto di significazione ad adempiere con il quale rappresentava una serie di difficoltà alla prosecuzione delle lavorazioni intraprese, in parte per ragioni di tipo logistico e tecnico-operativo a causa della asserita necessità di una preventiva definizione di tutti i piani interessati, ivi incluso quelli delle aree non disponibili (onde evitare sgradevoli sfalsamenti, difetti di complanarità e gradini, sia sotto il profilo tecnico che funzionale), in parte per la mancata produzione, all’ufficio de Genio Civile, degli elaborati afferenti le opere strutturali, in parte perché alcune piste sarebbe risultate, di fatto, ricadenti in aree di competenza regionale; nel contempo sollecitava il Comune di YYY a garantire, entro 20 giorni, la totale disponibilità delle aree di intervento e ad adoperarsi alla reazione della perizia di variante da tempo annunciata.
La D.L. replicava con ods n° 2 del 15.11.2007 in cui, previa deduzione sulla pretestuosità delle lamentele dell’impresa, individuava a mezzo di apposito allegato le opere eseguibili, quantificate per un corrispettivo di appalto di € 674.928,18 e ordinava all’impresa la relativa esecuzione, unitamente ad altri adempimenti riguardanti la presentazione di un programma lavori, la nomina di professionista abilitato all’esecuzione dei lavori, alle verifiche dei calcoli statici delle strutture in calcestruzzo armato e in acciaio e, quindi, a provvedere al successivo deposito degli elaborati tecnici – da sottoporre preventivamente alla sua approvazione – al competente Ufficio del Genio Civile con l’avviso che, in difetto, sarebbero state avviate le procedure di cui all’art. 19 del D.P.R. 554/1999.
Decorso un periodo di 5 mesi nel silenzio tra le parti, con nota del 23.04.2008 l’impresa inoltrava all’Ente Committente un ulteriore atto di diffida con il quale, oltre a contestare che le lavorazioni eseguibili – per come rappresentate dalla D.L. nell’ods n° 2 – costituissero, ancora, una porzione esigua rispetto alla totalità dell’appalto, deduceva che, in concreto, aveva avuto la possibilità di operare solo parzialmente anche in relazione a quest’ultime, a seguito delle mancate definizioni dei piani, – già lamentate nella precedente corrispondenza – e di ulteriori asserite carenze in ordine ai dati mancati sull’impianto di irrigazione in relazione alla caratterizzazione dei tracciati e del punto di allaccio alla rete idrica di alimentazione esterna, alla realizzazione di alcuni muri di contenimento rappresentati nelle sez I, I1, I2 a causa della diversità dello stato reale dei luoghi rispetto a quello ipotizzato, della mancanza di particolari costruttivi e di dettaglio per il muro da realizzare in aderenza al muro d’argine preesistente della Fiumarella.
Ancora una volta l’Ente Appaltante veniva diffidato a garantire, entro un termine di 20 giorni, la totale acquisizione delle aree di intervento e la redazione della annunciata perizia di variante.
Nella replica del D.L., contenuta nell’ods n. 3 del 16.06.2008, la D.L. contestava la pretestuosità delle lamentele dell’impresa, deducendo che a) era stata già comunicato, a quest’ultima “per le vie brevi”, la nota di assenso delle ferrovie datata 25.02.2008 b) non era ancora stato realizzato il chiosco bar, se non limitatamente alle fondazioni; c) l’appaltatore non aveva provveduto al deposito degli elaborati tecnici all’Ufficio del Genio Civile, effettuato direttamente dal Comune di YYY in data 26.10.2007, senza la sottoscrizione dell’impresa; d) l’allacciamento dell’impianto di irrigazione fosse previsto nella sala tecnica; e) non era previsto, in progetto, nessun muro di sostegno lungo l’argine della Fiumarella ed analogamente, nelle sezioni I, I1, I2.
La D.L. asseriva, inoltre, che era stata ottenuta, in data 25.03.2008, l’autorizzazione delle Ferrovie della Calabria mentre era in corso di stipula la convenzione tra il Comune di YYY e l’Ufficio del Demanio della Provincia per l’utilizzo delle aree demaniali e, pertanto, ordinava all’impresa di dare corso “tendendo anche conto che le aree sono tutte disponibili, a tutti i lavori stabiliti nel verbale di consegna del 19.12.2005” e riprendere l’esecuzione dei medesimi entro il termine di 10 giorni con l’avviso che, in difetto, sarebbe stata disposta la risoluzione del contratto.
In risposta all’ods n° 3 l’impresa aveva però eccepito di non aver mai ricevuto dalla D.L., “per le vie brevi” la comunicazione di liberalizzazione delle aree di pertinenza delle Ferrovie della Calabria ed il relativo atto di assenso e, comunque, la consegna delle aree dichiarate “ormai libere” avrebbe dovuto essere effettuata a mezzo di apposito verbale in cui potersi dare atto delle prescrizioni impartite dalle Ferrovie della Calabria e delle opere che restavano ancora precluse.
Pertanto, nel dedurre preliminarmente sulle altre questioni tecniche contestate dalla D.L., l’impresa stigmatizzava: a) l’iniziativa unilaterale del Comune di YYY circa il deposito all’Ufficio del Genio Civile, senza la sottoscrizione dell’impresa, degli elaborati tecnici strutturali; b) la mancanza di indicazioni grafiche e tecniche che riconducessero le opere di intercettazione della rete idrica esterna, alla sala macchine; c) la mancata previsione dei muri d’argine della Fiumarella idonei a contenere il terreno in funzione dell’effettiva situazione orografica dei luoghi; d) le lacunosità progettuali dei muri indicati nelle sezioni I, I1, I2, per incompletezza delle indicazioni sulle caratteristiche qualitative e dimensionali: e) incompletezza dei piani quotati.
L’ATI appaltatrice, tenuto conto dei notevoli rallentamenti accumulati – non riconducibili a propri comportamenti – ma alla indisponibilità della aree demaniali per la mancata stipula della convenzione con la Provincia di YYY e al mancato approntamento della perizia di variante finalizzata ad accogliere, anche, le prescrizioni (eventuali) delle Ferrovie della Calabria e quelle della Soprintendenza, manifestava al Comune la volontà di risolvere il contratto per grave inadempimento del committente.
Con atto di diffida e messa in mora del 4 giugno 2008, l’impresa diffidava quindi il Comune di YYY a disporre, entro e non oltre il termine di 20 giorni, tutte le condizioni perché fosse garantita la regolare prosecuzione dei lavori, mediante la consegna di tutte le aree, degli elaborati grafici esecutivi necessari a consentire la realizzazione di tutte le opere, la redazione e formale approvazione della necessaria perizia di variante tecnica al fine di definire con esattezza, sotto un profilo tecnico, economico ed amministrativo, le opere da eseguire, anche in funzione delle prescrizioni e/o autorizzazioni degli Enti interessati.
Alla data del 30.6.2008, ritenendo che fosse inutilmente decorso il termine assegnato alla Stazione Appaltante nell’atto di diffida, l’impresa inoltrava domanda di arbitrato.
Dal delineato excursus emergono con chiara evidenza gli elementi in favore delle doglianze dell’impresa sulla riconducibilità della abnorme dilazione dei tempi originariamente pattuiti tra le parti per l’esecuzione dell’opera a fatti comunque dipendenti dalla Stazione Appaltante che, colpevolmente responsabile per non aver assicurato – già in fase di indizione delle gara di appalto – la totale disponibilità delle aree, aveva poi reiterato il proprio comportamento inerziale trascurando di cooperare con l’appaltatore per garantire la completa esecuzione dei lavori secondo le previsioni, comprimendo quindi la capacità operativa dell’organizzazione imprenditoriale ad una marginale porzione delle opere appaltate, per un importo sicuramente non superiore al 42% (€ 674.928,18) di quello contrattuale (€ 1.626.269,34), per come desumibile dalla relativa definizione operata dalla D.L. – seppur con notevole ritardo rispetto alla data di consegna dei lavori – nell’ordine di servizio n° 2 del 15.11.2007.
In effetti, il comportamento omissivo dell’Amministrazione appaltante è stato caratterizzato, per tutta la durata del rapporto con l’impresa, dalla mancata adozione di efficaci e tempestivi provvedimenti risolutivi atto a rimuovere, entro i termini contrattuali, la prevalente indisponibilità delle aree che aveva inevitabilmente limitato la regolare esecuzione dell’opus, impedendo all’appaltatore di sviluppare i lavori secondo logici criteri tecnici ed economici, previa organica pianificazione delle attività di cantiere.
Non può senz’altro giovare al Comune di YYY, ad elusione della propria responsabilità per la mancata preventiva acquisizione delle concessioni degli Enti Terzi, la circostanza che nella conferenza dei servizi del 4.3.2003, questi ultimi avrebbero esternato parere favorevole, salvo poi ritrattare o ritardare, in corso di esecuzione, l’assenso alla concessione.
Il Collegio osserva, infatti, che in sede di conferenza dei servizi del 4.3.2003 – prodotto in atti dall’Amministrazione convenuta – era stato sottoposto, all’attenzione degli Enti interessati, il progetto definitivo in merito al quale il Rappresentante delle Ferrovie della Calabria esprimeva parere “favorevole con riserva di concordare le modalità esecutive” ed i rappresentanti della Soprintendenza Beni Architettonici della Calabria e dell’Amministrazione Provinciale esprimevano, entrambi, il medesimo “parere favorevole al Parco con richiesta, nel passaggio all’esecutivo, di definizione puntuale sull’assetto, sui materiali e sugli individui botanici. Relativamente alla realizzazione della pista ciclabile si esprime parere favorevole, con richiesta di riduzione dell’impatto previo intese, peraltro già concordate, con i progetti in fase esecutivi”.
E’ di tutta evidenza, dunque, che gli Enti in parola, in sede di conferenza dei servizi, avevano espresso parere con riserva di concordare le modalità “esecutive” o ritenuto la necessità di dettare prescrizioni e/o aggiustamenti per l’esecuzione dell’opera.
Ma alla luce degli eventi che hanno caratterizzato la travagliata vicenda contrattuale è emerso che prima dell’indizione della gara di appalto e, comunque prima della consegna dei lavori, la S.A. aveva disatteso di verificare con gli Enti Preposti la disponibilità delle aree e di promuovere il concordamento e/o la definizione delle modalità esecutive.
Infatti, i contenuti della nota del RUP, datata 28 marzo 2006, non lasciano dubbi sulla circostanza che, a quella data, dovessero ancora essere esaminate “le soluzioni progettuali relative alle prescrizioni impartite dalla Soprintendenza, in fase di approvazione del progetto”; analogamente, la comunicazione delle Ferrovie della Calabria del 4 aprile 2006, sulla propedeutica necessità di definire “gli interventi funzionali finalizzati alla ristrutturazione e potenziamento della tratta ferroviaria metropolitana”, comprovano la mancanza di qualsiasi preliminare accordo, tra i due Enti, sulle modalità esecutive delle opere – e, quindi, anche sui relativi tempi – in difformità di quanto stabilito in sede di conferenza dei servizi, con conseguente inadeguatezza del progetto esecutivo, sotto tale profilo.
Il Collegio è dell’avviso che da tale anomala situazione emerge senz’altro la grave responsabilità del Comune Committente per l’omessa preventiva verifica di pareri e/ nulla Osta degli Enti interessati e, comunque, per l’inottemperanza alle prescrizioni (riserve) da questi ultimi impartite (manifestate), considerata la relativa essenzialità ai fini del regolare svolgimento dei lavori.
E’ noto, infatti, per consolidata giurisprudenza in materia, che il rallentamento o fermo dei lavori “…nell’attesa di ottenimento di autorizzazioni amministrative necessarie a dar seguito ai lavori (nella specie nulla osta delle Autorità marittime per la localizzazione di boe segnaletiche, indispensabili alla posa delle condotte sottomarine costituenti l’oggetto dell’appalto) costituisce grave inadempimento agli obblighi contrattuali, ciò che legittima l’appaltatore alla risoluzione del contratto in danno dell’Amministrazione committente” (lodo 14 gennaio 1994 n. 8).
La Corte di Cassazione ha addirittura sancito il principio che, anche laddove l’impedimento alla prosecuzione dei lavori sia correlato ad un provvedimento sospensivo riconducibile all’intervento di un’autorità giudiziaria amministrativa, che trae origine da pregresse inadempienze e carenze progettuali, non è comunque possibile escludere l’imputabilità dell’inadempimento del committente, con riguardo ad un ordine o divieto sopravvenuto che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto dell’assunzione dell’obbligazione (Cass. Civ. 20 Agosto 2003 n. 12235).
La suprema Corte ha quindi ritenuto che anche nei riguardi dell’impedimento determinato dagli atti imperativi emanati da una pubblica autorità occorra procedere ad un concreto apprezzamento della loro prevedibilità, evitabilità e superabilità, alla stregua dello sforzo diligente dovuto.
Pertanto, non è esentato da responsabilità il debitore che abbia assunto l’obbligazione nonostante la prevedibilità dell’atto impeditivo, ovvero che non si adoperi diligentemente per ottenere il rilascio degli atti permissivi necessari per eseguire la prestazione o per procurare i mezzi dell’adempimento, ovvero, infine, che non ponga in essere uno sforzo diligente per ottenere, attraverso le apposite procedure, la caducazione degli atti impeditivi (eventualmente) illegittimi.
Le suddette trascuratezze avevano comunque inevitabilmente determinato, in corso d’opera, la necessità di “rivisitazione dell’intero progetto” secondo quanto annunciato dal RUP in data 27 giugno 2007 e, quindi, della redazione di una perizia di variante tecnica che implicasse lo spostamento del tracciato della pista ciclabile, per come evidenziato dal medesimo tecnico comunale nella sua nota di autorizzazione del 21.07.2006 alle occorrende modifiche progettuali; circostanze che, di fatto, avevano condizionato, per lungo tempo, la concreta possibilità di procedere all’esecuzione di qualsiasi attività, ad eccezione di quelle espressamente elencate nel verbale di consegna dei lavori (recinzione delle aree, pulizia del cantiere, rimozioni parziali) secondo quanto confermato, anche, nello schema di verbale di sospensione dei lavori inoltrato via fax dal D.L. (al RUP e all’impresa) nel mese di agosto 2006 in cui si affermava che “è oggettivamente impossibile per l’impresa continuare a svolgere i lavori nel suddetto cantiere”.
Il Comune di YYY aveva però trascurato di dar corso alle attività occorrenti per la rimodulazione del progetto e, pertanto, sotto tale profilo, si configura una ulteriore grave responsabilità dell’Ente Committente per la prolungata inerzia in ordine alla mancata redazione ed approvazione della perizia di variante, considerata la sua essenzialità ai fini della regolare prosecuzione di tutti lavori.
Difatti, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, ”Anche nell’appalto di opere pubbliche, stante la natura privatistica del contratto, è configurabile, in capo all’amministrazione committente, creditrice dell’opus, un dovere – discendente dall’espresso riferimento contenuto nell’art. 1206 c.c. e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva, che permeano la disciplina delle obbligazioni e del contratto – di cooperare all’adempimento dell’appaltatore, attraverso il compimento di quelle attività, distinte rispetto al comportamento dovuto dall’appaltatore, necessarie affinché quest’ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio. In questo contesto, l’elaborazione di varianti in corso d’opera – di norma costituente una mera facoltà della p.a. (esercitabile in presenza delle condizioni previste dalla legge) – può configurarsi come espressione di un doveroso intervento collaborativo del creditore. “(Cass. civ., sez. I, 29 aprile 2006, n. 10052).
Pertanto, in difetto della redazione della perizia di variante, pressata dai reiterati solleciti scritti dell’impresa del 26.06.2006, 15.11.2206, 1.12.2006 per la tempestiva risoluzione delle problematiche che ostacolavano la prosecuzione dei lavori, in data 15.12.2006 la D.L., su impulso del RUP, aveva ritenuto di invitare l’impresa ad effettuare, nelle aree già consegnate, le lavorazioni che sarebbero state puntualmente definite al momento del sopralluogo da effettuare direttamente in cantiere e stabilito per la data del 08.01.2007
Nella propria nota del 9 marzo 2007 l’impresa aveva comunque ritenuto di comunicare che, a decorrere dal giorno 12.03.2007, avrebbe intrapreso l’esecuzione delle opere “eseguibili” ed indicate sommariamente in un elenco dalla medesima predisposto, in replica alla nota del 26.02.2007 della D.L.; quest’ultima, solo con ods n. 2 del 15.11.2007 – a seguito di ennesima diffida dell’ATI – avrebbe dettagliatamente individuato, sotto un profilo economico e descrittivo, le lavorazioni da effettuare i cui corrispettivi rappresentavano, però, una limitata porzione di quelle appaltate, con una incidenza di appena il 42% circa dell’intero importo contrattuale.
Il Collegio non ha trascurato di valutare che, una volta compiutamente definite, da parte della D.L., le opere da realizzare, nel prosieguo dell’iter esecutivo di appalto l’impresa non aveva comunque impresso un significativo impulso all’avanzamento dei lavori eseguibili, adagiandosi su contestazioni riguardanti alcune carenze degli elaborati grafici e tecnici e, soprattutto, sulla asserita impossibilità di completare le piste ciclabili già avviate per ragioni di tipo logistico e tecnico-operativo che comportavano una preventiva definizione di tutti i piani interessati, ivi incluso quelli delle aree non disponibili (onde evitare sgradevoli sfalsamenti, difetti di complanarità e gradini, sia sotto il profilo tecnico che funzionale).
Al riguardo il Collegio, aderendo alle argomentazioni della difesa convenuta, ritiene che l’impresa appaltatrice avrebbe potuto dar corso ai lavori di completamento delle piste ciclabili, anche senza la preventiva definizione di tutti i piani interessati, inclusi quelli delle aree ancora indisponibili, considerato che laddove si fosse attenuta ad una regolare esecuzione, in conformità ai dati progettuali, le opere non sarebbero state affette dagli asseriti difetti estetici e funzionali e, comunque, qualora l’appaltatore avesse poi ritenuto di sostenere maggiori oneri a causa della “discontinuità” delle aree oggetto di intervento, avrebbe potuto rivendicare le proprie pretese risarcitorie nei modi e termini stabiliti dalle norme regolamentari.
D’altronde l’impresa aveva pure intrapreso la costruzione del chiosco bar, limitando il suo intervento, però, alla sola componente fondazionale senza proseguire, ingiustificatamente, con l’esecuzione delle opere in elevazione e al relativo completamento.
Pertanto, il Collegio è dell’opinione che, a prescindere dalla sussistenza di eventuali carenze degli elaborati tecnici con riferimento ad altre opere, l’impresa avrebbe sicuramente potuto (fatto salvo il proprio diritto a rivendicare le proprie pretese per eventuali maggiori onerosità delle prestazioni) dar corso al completamento delle piste ciclabili e delle opere strutturali, ivi compreso quelle relative al chiosco bar, realizzato limitatamente alle fondazioni.
Non sono invece condivisibili, a parere del Collegio, gli ulteriori – seppur minori – addebiti mossi dal Comune di YYY all’impresa.
Infatti, riguardo all’asserito obbligo dell’impresa di presentare un programma operativo dettagliato dei lavori prima del relativo inizio (art. 9 C.S.A.), questo era venuto senz’altro meno a causa dell’integrale stravolgimento delle originarie previsioni considerato che, con la consegna parziale di una porzione assai limitata delle opere, la S.A. aveva impedito la possibilità di una idonea e organica pianificazione delle attività di cantiere, non potendosi peraltro invocare, a sostegno delle argomentazioni comunali, le previsioni di cui all’art. 130, comma 7, D.P.R. 554/1999 perché, come già rilevato da questo Collegio, non sussisteva alcuna previsione capitolare al riguardo. Senza poi sottacere che, a distanza di breve tempo, emergevano le problematiche ormai note, tali da indurre i medesimi tecnici comunali a ravvisare la necessità di redigere una perizia di variante (mai effettuata) e a dichiarare una obiettiva impossibilità a proseguire con le lavorazioni salvo, poi, ad individuare, molto tempo dopo, una parte di opere eseguibili.
E’ di tutta evidenza, che in siffatto caotico contesto, era stato senz’altro resa difficoltosa all’impresa una concreta programmazione dei lavori, peraltro tardivamente contestata dalla D.L. con nota del 26.02.2007, in difetto di una puntuale definizione delle opere da eseguire.
Analoghe argomentazioni valgono in ordine alle obbligazioni afferenti i diagrammi dettagliati di esecuzione dell’opera per singole lavorazioni ed il rispetto del cronoprogramma di progetto, di cui all’art. 14 del C.S.A.
Per quanto concerne l’obbligo dell’impresa di designare il direttore Tecnico di Cantiere, va comunque rilevato che tale adempimento, richiesto dalla D.L. con ods n° 2 del 15.11.2007 – mai contestato in precedenza – veniva assolto a distanza di breve tempo, in data 27.12.2007, dovendosi comunque ritenere che la tardiva designazione non aveva avuto riflessi negativi sull’iter di appalto, a causa della corrispondente differimento della individuazione delle opere concretamente eseguibili, ad opera della S. A.
Il Collegio non condivide, peraltro, l’ulteriore addebito del Comune su una presunta inosservanza dell’impresa all’obbligo, ai sensi degli artt. 57.1 e 36 bis del C.S.A. di provvedere “con professionista abilitato ed esperto alla verifica dei calcoli statici delle strutture in c.a. e in acciaio a termine dell’art. 4 della legge 5.11.1971” perché detta clausola si pone in palese contrasto con le cogenti disposizioni regolamentari al riguardo, in forza delle quali il progetto esecutivo rimane nella competenza esclusiva della Stazione Appaltante.
Non assume apprezzabile rilievo, a parere di questo Collegio, l’ulteriore contestazione del Comune di YYY, in merito all’inottemperanza dell’impresa all’obbligo di denuncia delle opere al Competente Ufficio del Genio Civile.
Dagli atti di causa emerge, infatti, che l’Ente committente aveva provveduto ad effettuare – di propria iniziativa – in data 26.10.2007 il deposito, all’Ufficio del Genio Civile, degli elaborati tecnici strutturali senza la sottoscrizione dell’impresa.
Il Collegio ritiene che il comportamento dell’impresa, se pure biasimevole per la parziale realizzazione di alcune opere che erano certamente eseguibili non è sufficiente, però, ad esonerare il Comune di YYY dalle sue più gravi responsabilità che nella qualità di Committente pubblico, contravvenendo ai propri inderogabili obblighi, a distanza di circa due anni e mezzo dalla consegna dei lavori, in un arco temporale prossimo al doppio di quello contrattuale, non aveva ancora reso obiettivamente possibile il regolare svolgimento della maggior parte dei lavori.
E, di fatti, anche nel mese di giugno 2008, quando ormai era scaduto il tempo contrattuale per l’ultimazione dei lavori da oltre un anno e l’impresa si apprestava ad inoltrare la domanda di arbitrato, allo spirare del termine di 20 giorni fissato nell’atto di diffida e messa in mora notificato al Comune di YYY in data 4.6.2008, la Stazione Appaltante – per ammissione della stessa difesa comunale – non aveva ancora acquisito la concessione demaniale da parte dell’Amministrazione Provinciale di YYY né aveva provveduto a redigere la perizia di variante – annunciata due anni prima – per il recepimento delle prescrizioni della Soprintendenza ai Beni Architettonici.
Quanto, poi, alle aree di pertinenza ferroviaria il Collegio osserva che la nota del 25.02.2008 delle Ferrovie della Calabria – già di per sé intempestiva – non contemplava una vera e definitiva concessione delle aree considerato che la medesima costituiva una mera autorizzazione “nelle more dell’approvazione da parte del competente Dipartimento della Regione Calabria” soltanto “i lavori di pulizia e di sistemazione dell’area oggetto” – per come affermato anche dalla difesa convenuta nelle seconde memorie – e conteneva la precisazione che “nessuna richiesta di danno potrà essere inoltrata a questa Società per la mancata concessione dell’autorizzazione da parte del competente Dipartimento della Regione Calabria che inoltre dovrà stabilire l’importo dovuto per l’occupazione dell’area”; nessuna documentazione ha però prodotto il Comune di YYY a comprova dell’eventuale concessione rilasciata da parte del Dipartimento Regionale delle Ferrovie della Calabria, restando pertanto non comprovata la definitiva risoluzione della problematiche afferenti la concreta possibilità di eseguire le opere secondo il progetto.
Ad avviso del Collegio appaiono prive di pregio le eccezioni formulate dal Comune di YYY sulla circostanza che l’impresa possa essere vulnerata dal proprio diritto ad elevare contestazioni ed avanzare pretese per la mancata disponibilità delle aree, per aver la medesima sottoscritto, prima della stipula del contratto, il verbale di cui all’art. 71 del D.P.R. 554/1999 circa le permanere condizioni di cantierabilità delle opere o, ancora, per non aver apposto riserve nel verbale di consegna dei lavori.
Con riferimento al primo aspetto il Collegio osserva che la suddetta dichiarazione non può che essere riferita allo stato apparente delle cose al momento del sopralluogo e che, in realtà, le problematiche inerenti alla procrastinata indisponibilità delle aree, erano emerse solo in corso d’opera, dopo la consegna dei lavori.
Il Collegio ritiene di aderire al consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, secondo cui la dichiarazione di cui all’art. 71 cit. non comporta alcuna obbligazione di co-verifica o validazione del progetto in ordine alla disponibilità delle aree e non costituisce dichiarazione negoziale di esclusione di responsabilità per inadempimento degli anzidetti obblighi potendo spiegare efficacia limitatamente allo stato apparente dei luoghi e a ciò che l’appaltatore è messo in condizioni di conoscere.
E’ utile richiamare, al riguardo, i contenuti della Deliberazione n. 236 del 06.06.2001 dell’Autorità di Vigilanza per i contratti pubblici, sulla circostanza che “L’art.71, co.2, del D.P.R. 21 dicembre 1999, n.554 e s.m., laddove prevede che l’offerta sia accompagnata dalla dichiarazione di aver esaminato gli elaborati progettuali non è suscettibile di interpretazione estensiva, nel senso di far ricadere sull’impresa appaltatrice la responsabilità sulla corretta redazione del progetto esecutivo, laddove la predisposizione di esso spetti al committente. La previsione che sposti sull’impresa appaltatrice la responsabilità della corretta redazione del progetto esecutivo costituisce clausola “tamquam non esset”
Per quanto concerne la mancata apposizione di riserve nel verbale di consegna dei lavori, il Collegio, rifacendosi a quanto già argomentato, è dell’opinione, anche alla stregua dei principi di correttezza e buona fede che regolano l’esecuzione dei contratti, che al momento della relativa sottoscrizione era del tutto ragionevole confidare, da parte dell’impresa, sulla circostanza che la S.A. si sarebbe adoperata per garantire la totale disponibilità delle aree e la continuità dei lavori, senza interruzioni, onde pervenire all’ultimazione entro il termine espressamente indicato dal D.L. all’11 giugno 2007
Peraltro, le circostanze che determinavano il procrastinamento dell’indisponibilità delle aree emergevano solo successivamente alla sottoscrizione del verbale di consegna, con conseguente esonero dell’impresa ad elevare qualsiasi contestazione in quella sede, essendo stata fissata la data di ultimazione dei lavori all’ 11.06.2007.
Ciò detto, questo Collegio ritiene, valutando comparativamente i comportamenti di ambedue le parti, dedotti dalla documentazione esibita agli atti di causa e dal contraddittorio effettuato, che nessuna delle due sia esente da una forma di responsabilità in seno all’intera e complessa vicenda per il mancato completamento dei lavori, ma che appare comunque innegabile che il comportamento del Comune di YYY sia stato gravemente pregiudizievole ed abbia integrato gli estremi di gravità di tal che si deve ritenere che sia di gran lunga assorbente la (trascurabile) responsabilità della ATI appaltatrice per la mancata esecuzione di opere che, nella fase finale del rapporto inter partes, erano state identificate come “eseguibili” dalla D.L. nell’ods n° 2 del 15.11.2007 e di cui, almeno una parte, era da ritenere sicuramente tale, a prescindere da eventuali incompletezze e/o lacunosità degli elaborati grafici e tecnici..
E’ di tutta evidenza che non risponde alle regole di buona amministrazione ed ai principi di buona fede che devono regolare i rapporti contrattuali la mancata adozione, di alcun provvedimento idoneo, a distanza di notevole tempo, a consentire alla controparte contrattuale di compiere tutti i lavori, predisponendo ed eseguendo i necessari adempimenti, in riferimento alla disponibilità delle aree e alle occorrende variazioni al progetto
Non militano, a giustificazione degli inadempimenti comunali, le argomentazioni della propria difesa circa l’eventuale impegno profuso dal Comune di YYY verso gli Enti terzi per l’ottenimento dei necessari permessi, considerato l’ attività svolta non è ritenuta sufficiente, dal Collegio, ad esonerare il Committente dalle proprie responsabilità.
Da tale comportamenti trae, quindi, evidenza il difetto funzionale della causa del contratto connesso al prodursi del sopravvenuto squilibrio sinallagmatico delle prestazioni rese dall’appaltatore che comportando una notevole modificazione delle modalità operative e lo stravolgimento dei tempi di esecuzione è tale da giustificare la sanzione di risoluzione per fatto e colpa dell’Amministrazione.
Infatti, le considerazioni innanzi svolte pongono in evidenza che l’Ente appaltante è incorso in una somma di inadempienze che sono senza dubbio di importanza tale, avuto riguardo all’interesse dell’impresa appaltatrice, da giustificare la risoluzione contrattuale, in quanto hanno profondamente turbato, a danno dell’impresa, il sinallagma contrattuale funzionale in relazione sia all’economicità del contratto, rimasta sconvolta, sia ai tempi di espletamento, protrattisi oltre ogni ragionevole limite.
L’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto inoltrata dell’appaltatore comporta la totale reiezione di quella riconvenzionale del Comune e delle relative pretese risarcitorie; peraltro queste ultime erano state impropriamente rivendicate e commisurate, dalla difesa convenuta, in ragione dell’importo della penale per ritardo nell’ultimazione dei lavori (stabilita, all’art. 10 di contratto, nella misura giornaliera del 3 per mille del corrispettivo di appalto), proporzionalmente alla quota di lavori “eseguibili”, tenuto conto del relativo tempo di esecuzione.
Il Collegio rileva, però, che l’art. 10 di contratto è mirato a disciplinare, esclusivamente, la penale per l’ultimazione globale dei lavori rispetto al termine finale pattuito inter partes e non già la sua eventuale applicazione nell’ipotesi di ritardi rispetto a scadenze differenziate di varie lavorazioni o parti di opera, per le quali l’eventuale sanzione avrebbe dovuto essere espressamente prevista nelle condizioni capitolari, ai sensi dell’art. 22, comma 2, del D.M. 145/2000 (Capitolato Generale di Appalto dei Lavori Pubblici).
D’altronde, le vicende contrattuali testimoniano che la Stazione Appaltante non aveva dimostrato un concreto interesse, nell’intero iter esecutivo di appalto, alla puntuale ultimazione dei lavori e quindi all’utilizzo dell’opera che non avrebbe potuto avere luogo a causa della considerevole parzialità degli interventi possibili, per cui il Collegio, anche sotto tale profilo, alla stregua della ratio del comma 4 di cui al menzionato art. 22 del Capitolato Generale di Appalto, ritiene che non sussisterebbero i presupposti per l’accoglimento della pretesa risarcitoria formulata nella domanda riconvenzionale.
Non può ancora sottacersi la singolare incoerenza del Comune di YYY che, a fronte degli asseriti inadempimenti della controparte, non ha concretamente ritenuto di adottare, avvalendosi della facoltà di esercitare il proprio diritto potestativo di autotutela dichiarativa attribuitogli dagli artt. 340 e 341 della legge n. 2248 del 1865 All. F, alcun provvedimento di risoluzione in danno dell’appaltatrice e tale comportamento concludente induce a configurare un mancato convincimento dello stesso Ente circa l’ipotesi di un inadempimento grave tale da condurre alla risoluzione del contratto.
3. Accertata la dichiarazione di risoluzione del contratto in danno del committente compete, per quanto di ragione, all’impresa attrice, il diritto al risarcimento dei danni a diverso titolo rivendicati con i quesiti n. 1 e n. 2 della domanda arbitrale. [omissis]
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