Go to Top

NUOVO CODICE DEGLI APPALTI

NUOVO CODICE DEGLI APPALTI “OBESO” E (Costituzionalmente) “CLAUDICANTE”

La dieta dimagrante prescritta dalla legge delega al Governo n° 11/2016 (art. 1.1 let. d) per la razionalizzazione ed  il radicale snellimento del  “corpo” normativo in materia di appalti pubblici, servizi e forniture, non sembra (allo stato) avere funzionato, considerato che il nuovo codice approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 marzo 2016 è più “pesante” rispetto al D. Lgs 163/2006 (cd Codice De Lise) in fase di imminente abrogazione.

Infatti, la comparazione attraverso la bilancia testuale rivela, per il nuovo codice,  una massa di  108.088 parole a fronte dei 103.617 termini contenuti nel codice De Lise (nella sua originaria versione) e lo squilibrio permane anche considerando il volume dei caratteri (al netto degli spazi vuoti) pari a 637.085  nella versione in riforma e a 602.123 nel decreto ancora vigente.

Nel tentativo di mascherare l’esuberante massa testuale e, comprovare, quindi, il raggiungimento degli obiettivi prefissati dalla legge delega, gli estensori della bozza di riforma hanno “cucito” sul nuovo codice una struttura di 219 articoli (a fronte dei 257 articoli del codice De Lise) mediante un “accorpamento” – anche di istituti non sempre affini tra loro – che stride con l’annunciata “semplificazione” e che, in alcuni casi, sconfina in discutibili forzature a causa degli effetti distorsivi che questa stringente “panciera” è destinata ad alimentare fino a comprimere, addirittura, inviolabili diritti costituzionali.

E’ il caso ad esempio, dell’art. 107 (rubricato sospensione) ove viene curiosamente associata all’istituto della sospensione dei lavori, individuata nelle sue diverse cause generatrici (commi 1, 2, 3, 4), la proroga dei tempi contrattuali su richiesta dell’appaltatore (comma 5) destinata a determinare una dilazione dei tempi contrattuali, piuttosto che produrre un effetto sospensivo come potrebbe desumersi dalla rubricazione dell’articolo.

L’art. 108 (rubricato risoluzione) accorpa tutte le diverse ipotesi che possono legittimare la Stazione Appaltante alla risoluzione del contratto ed, in particolare, quando (comma 1):

a) il contratto ha subito una modifica sostanziale che avrebbe richiesto una nuova procedura di appalto ai sensi dell’articolo 106;

 b) con riferimento alle modificazioni di cui all’articolo 106, comma 1, lettere b) e c) sono state superate le soglie di cui al comma 7 del predetto articolo; con riferimento alle modificazioni di cui all’articolo 106, comma 1, lettera e) del predetto articolo, sono state superate eventuali soglie stabilite dalle amministrazioni aggiudicatrici o dagli enti aggiudicatori; con riferimento alle modificazioni di cui all’articolo 106, comma 3, sono state superate le soglie di cui al medesimo comma 3, lettere a) e b) (Trattasi, in sintesi, delle cd varianti disposte per allorché vengono superate determinate soglie dell’importo contrattuale, in funzione delle diverse ipotesi di fatti imprevisti ed imprevedibili per le modifiche sostanziali, ovvero per le modifiche ritenute non sostanziali) ;

 c) le riserve iscritte dall’appaltatore superano il 15 per cento dell’importo contrattuale;

 d) l’aggiudicatario o il concessionario si è trovato, al momento dell’aggiudicazione dell’appalto o della concessione, in una delle situazioni di cui all’articolo 80, comma 1, per quanto riguarda i settori ordinari ovvero di cui all’articolo 171, comma 3 per quanto riguarda le concessioni e avrebbe dovuto pertanto essere escluso dalla procedura di appalto o di aggiudicazione della concessione, ovvero ancora per quanto riguarda i settori speciali avrebbe dovuto essere escluso a norma dell’articolo 136, comma 1, secondo e terzo periodo;

e) l’appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato in considerazione di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in un procedimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, o di una sentenza passata in giudicato per violazione delle norme contenute nel presente codice;

 f) qualora nei confronti dell’appaltatore sia intervenuta la decadenza dell’attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci;

 g) qualora nei confronti dell’appaltatore sia intervenuto un provvedimento definitivo che dispone l’applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia e delle relative misure di prevenzione, ovvero sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per i delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, dagli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale, nonchè per reati di usura, riciclaggio e anche di frode nei riguardi della stazione appaltante, di subappaltatori, di fornitori, di lavoratori o di altri soggetti comunque interessati all’esecuzione del contratto, nonché’ per violazione degli obblighi attinenti alla sicurezza sui luoghi di lavoro.

In aggiunta alle suddette ipotesi, i commi 2 e 3 contemplano, rispettivamente, la risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’appaltatore alle obbligazioni contrattuali ed il ritardo delle prestazioni per negligenza di quest’ultimo.

Per tutte le suindicate ipotesi gli effetti della risoluzione del contratto sono univocamente disciplinate dal comma 4 ove è previsto che” Nel caso di risoluzione del contratto l’appaltatore ha diritto soltanto al pagamento delle prestazioni relative ai lavori, servizi o forniture regolarmente eseguiti, decurtato degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto”.

 Tale ultima disposizione desta molte perplessità considerato che gli effetti della risoluzione del contratto disposta dalla Stazione Appaltante sono sempre e comunque equiparati, di fatto, a quelli di una risoluzione per grave inadempimento dell’appaltatore, anche quando non riconducibili a specifiche responsabilità del medesimo (come nei casi di cui al comma 1, lettere a, b, c, ed e), tant’è che nell’eventualità egli ha diritto soltanto al pagamento delle prestazioni relative ai lavori, servizi o forniture regolarmente eseguiti ma viene (impropriamente) gravato degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto.

 Ancora più critica si appalesa, poi, l’ipotesi di cui al comma 1, let. c, soprattutto ove si consideri che la (discutibile) finalità deterrente di limitare (con la soglia del 15% dell’importo contrattuale) l’impiego di un istituto (la riserva) destinato alla preservazione di diritti da far valere nelle opportune sedi, è associata ad una risoluzione contrattuale equiparata all’inadempimento dell’appaltatore che avrebbe diritto solo a quanto sopra esposto e addirittura gravato di oneri aggiuntivi. Ma, in questa circostanza, quale sarebbe la sorte delle riserve iscritte dall’appaltatore? La formulazione della norma si presta ineludibilmente ad una interpretazione giuridicamente ingiusta ed illogica, di dubbia legittimità costituzionale, idonea ad indurre molti Committenti Pubblici a promuovere la risoluzione del contratto con l’obiettivo di detronizzare l’efficacia e validità di tutte le riserve iscritte dall’appaltatore, se le medesime superano la soglia del 15% dell’importo contrattuale.

Fermo restando il dubbio di legittimità costituzionale su una norma di siffatta portata, sarebbe comunque più logico ed appropriato collocare la disposizione de qua (al pari di tutte le altre in cui la risoluzione del contratto è riconducibile ad esigenze soggettive della Stazione Appaltante, ivi comprese quelle del contenimento della spesa) nell’ambito della disciplina del “recesso” contrattuale rubricato all’art. 109, conforme ad analoga previsione del Codice De Lise (art. 134).

Ad integrazione delle criticità rappresentate, va altresì osservato che l’intervallo percentuale del 5÷15% dell’importo di contratto in cui, secondo quanto previsto all’art. 206, comma 1, dovrebbe rientrare il valore economico delle riserve iscritte dall’appaltatore in corso d’opera affinché si possa attivare la procedura di accordo bonario tende a svilire – attraverso la previsione di una soglia massima di importo (15%) – la finalità dell’istituto, introdotto a suo tempo dal legislatore per favorire il decongestionamento del possibile contenzioso in sede giudiziale e che, invero, viene ora impiegato come misura alternativa alla tutela giurisdizionale solo se, di fatto, si rinuncia all’esercizio di tutti i diritti che hanno effetti economici superiori alla soglia predeterminata, a prescindere dalla causa petendi, sia essa di natura contabile che amministrativa.

Posto quanto sopra, tenuto conto di altre simili incongruenze rinvenibili nel Nuovo Codice, si confida che il Consiglio di Stato e le Commissioni Parlamentari a cui è demandato il compito di esprimere il parere sul nuovo Codice, suggeriscano al Governo di cucire un vestito più idoneo al “corpo” normativo, anche se più “obeso” del previsto, senza ricorrere all’impiego di stringenti “panciere” che hanno l’effetto di comprimere i diritti costituzionalmente garantiti degli operatori economici.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Non è possibile copiare i contenuti di questo sito!!