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Stralcio da lodo arbitrale Roma, 20 dicembre 2013 n° 94. Risarcimento danni per anomalo andamento dei lavori imputabile alla Stazione Appaltante – Improduttive spese generali: inapplicabilità (neanche per via analogica) dell’art. 25 del D.M. 145/2000, riferibile esclusivamente all’ipotesi di sospensione illegittima

Collegio Arbitrale costituito da:

Avv. Rosa Ierardi (Presidente) – Ing. Arturo Varzi (Arbitro) – Avv. Ernesto Longo (Arbitro)

Per quanto concerne le spese generali va preliminarmente precisato che le medesime rientrano nella tipologia dei costi vivi; esse concernono l’organizzazione, l’amministrazione e la conduzione dell’impresa appaltante nel suo complesso e non sono imputabili ad un determinato prodotto né ad uno specifico ramo di attività, riguardando sostanzialmente i canoni di affitto per i locali della sede, le spese postali e di cancelleria, quelle telefoniche, gli stipendi e gli oneri per il personale tecnico e amministrativo di sede, le spese di amministrazione e contabilità amministrativa in genere, le spese legali e di rappresentanza, ecc.

Si tratta, cioè, di spese dalle quali l’impresa non può prescindere e che ricorrono in ogni genere di appalto al punto tale da essere normativamente riconosciute e codificate dal legislatore, ai sensi dell’art. 34, comma 2, lett. c) del D.P.R. 554/1999 (temporalmente applicabile alla presente vicenda controversa).

Ne consegue che, in presenza di un accertato sconvolgimento dei tempi contrattuali, non occorre una prova particolare del danno conseguito perché, in via di presunzione, ai sensi degli artt. 2727 e ss. Cod. civ., deve senz’altro ritenersi verificato un aumento o un improduttivo esborso anche delle spese generali, essendo i due fenomeni strettamente connessi. In caso di sottoproduzione di cantiere, infatti, la giurisprudenza è univoca nel riconoscere che all’appaltatore “è dovuto il risarcimento per le maggiori spese generali sostenute improduttivamente” ex multis, Lodo Arb. 26-07-2002, in Arch. Giur. OO.PP. 2003, 31), e ciò “anche in mancanza di una prova specifica, vista la loro peculiare natura di spese strettamente connesse e dipendenti dall’andamento dell’appalto” (Lodo Arb. Roma, 28-07-1998, in Arch. Giur. OO.PP. 2000, pag. 1230); come pure ha costantemente ritenuto che “in tema di liquidazione del danno concernente le maggiori spese generali sostenute dall’impresa appaltatrice, alla somma da attribuirsi si perviene attraverso la determinazione del coefficiente di ridotta o mancata produttività e la moltiplicazione di tale coefficiente per il periodo di ridotta o mancata produzione e per l’importo delle spese generali contrattualmente previste” (così Lodo Roma 15 ottobre 2004 n. 61, in Arch. Giur. OO.PP., 2005), precisando inoltre che “l’eccesso di spese generali sopportate dall’impresa affidataria a causa dell’anomalo andamento dei lavori va liquidato tenuto conto di quanto previsto dalla normativa vigente, ed in specie dall’art. 20 d.m. 29 maggio 1895 e dall’art. 14 l. 10 dicembre 1981 n. 741, che fissano l’aliquota per spese generali in misura variabile tra il tredici ed il quindici per cento dei prezzi unitari” (così Lodo arb. Roma, 29-07-1996, in Arch. Giur. OO.PP., 1998, 973; nello stesso senso si veda anche, ex multis, Tribunale di Roma – Sez. 2 – sent. n. 40533 del 16/12/2003). Questo Collegio non ha dunque motivo di discostarsi dai menzionati orientamenti giurisprudenziali, ormai da tempo consolidatisi [0missis].

Sulla base di quanto precede, le spese generali risultano quindi determinate in misura proporzionale al prezzo dell’appalto, in relazione alla natura ed alla importanza dei lavori, nonché alla durata del contratto: ne consegue che ad ogni giorno di durata contrattuale corrisponde un determinato onere a titolo di spese generali, che viene sostenuto dall’appaltatore in ogni caso, a prescindere cioè dalla produzione effettivamente realizzata (Coll. Arb. Roma, 21 luglio 1998; Coll. Arb., 1 agosto 1997, n. 75).

Al riguardo le richiamate norme (cit. art. 34) prevedono che la determinazione dei prezzi contrattuali di un appalto di opera pubblica comprende una percentuale di spese generali variabile tra il 13 ed il 15%, oltre ad un decimo di utilità a profitto dell’appaltatore, da aggiungersi ai costi unitari delle singole specie di lavori e di opere, stabiliti dalle analisi dei prezzi.

La norma regolamentare pone, quindi, una correlazione tra le spese generali, l’entità complessiva delle opere costituenti l’appalto ed il tempo di esecuzione dei lavori e delle opere. Ciò in altri termini è l’effetto giuridico della essenzialità del tempo dei lavori e delle opere nella formazione del prezzo di appalto, il cui verificarsi, come si è detto, non necessita di particolari mezzi di prova.

Sicché, se lo sconvolgimento dei tempi contrattuali dipende da fatti imputabili all’Ente appaltante, si deve riconoscere all’appaltatore il diritto di essere indennizzato dell’improduttivo onere, da lui sopportato, delle maggiori o improduttive spese generali connesse alla porzione di tempo trascorso parzialmente infruttuoso.

In definitiva, secondo un consolidato ed unanime indirizzo giurisprudenziale, tali spese sono proporzionali al tempo di inattività e correlate all’originario impegno contrattuale, caratterizzato dalla essenzialità del tempo di esecuzione previsto e dall’importo di offerta per cui  “Le spese generali risultano determinate in misura proporzionale al prezzo di appalto, in relazione alla natura ed all’importanza dei lavori, nonché alla durata del contratto; pertanto, ad ogni giorno di durata contrattuale corrisponde un determinato onere a titolo di spese generali, che viene sostenuto dall’appaltatore in ogni caso, a prescindere dalla produzione effettivamente realizzata. Le spese generali si calcolano con riferimento all’originario impegno dell’esecutore, costituito dall’importo di contratto e dalla durata originaria dello stesso” (Lodo Arbitrale  Roma 31 luglio 2006 n. 61, in Arch. Giur. OO.PP. 2006, 52).

Nella quantificazione delle proprie pretese l’impresa ha chiesto il riconoscimento di una percentuale per spese generali del 12%.

Bisogna tenere presente, però, che tra le spese generali complessivamente tenute presenti dal legislatore, alcune (i cosiddetti oneri fissi) sono indipendenti dal tempo di durata di esecuzione dell’appalto e l’appaltatore le avrebbe sostenute comunque. Nel caso di specie, tenuto conto della natura e tipologia delle opere, ascrivibile alla categorie delle lavorazioni edili, concentrate in aree localizzate, appare congruo ritenere applicabile, per le spese generali complessive,  l’aliquota media  normativamente stabilita (14%) considerato che in tali circostanze l’impegno imprenditoriale per il coordinamento delle diverse fasi del processo esecutivo comporta un dispendio di energie e di risorse  più accentuato di quello relativo ad altre tipologie di appalti  (stradali, idraulici)  che si svolgono su vaste superfici.

Per quanto concerne le spese generali variabili il Collegio, aderendo ai consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia, ritiene che le medesime, diversamente da quanto richiesto dall’impresa (12%), debbano essere assunte nella  misura dei 2/3 dell’aliquota  totale e, quindi, pari al 9,33% = 2/3 x 14%. (Lodo 30 ottobre 2006 n 94, in Arch. Giur. OO.PP. 2007, 130; lodo 27 giugno 2006 n. 45, in Arch. Giur. OO.PP. 2006, 1137 ; lodo 8 novembre 2005, in Arch. Giur. OO.PP. 2006, 91 ;  lodo 26 luglio 2002,  in Arch. Giur. OO.PP. 2003, 31 ; lodo Torino 10 ottobre 2000 in Arch. Giur. OO.PP. 2001, 1018 ; lodo 1  luglio 1998 n. 63,  in Arch. Giur. OO.PP. 2000, 1180). Conseguentemente, la quota improduttiva delle spese generali variabili è quantificata, in relazione alla percentuale di sottoproduzione, nella misura del 7,82%. (= 9,33% x 83,79%).

Il Collegio non ritiene condivisibile, sul punto, quanto prospettato dalla difesa comunale  sulla necessità che le spese generali infruttifere debbano essere assunte nella misura prevista dall’art. 25, comma 2,  del DM 145/2000 (capitolato generale di appalto delle OO.PP.) e, quindi, nel minor valore del 6,5%, considerato che una simile riduzione tende implicitamente ad una erronea assimilazione (per via analogica) della situazione di  anomalo andamento dei lavori (in cui l’intera organizzazione aziendale risulta mobilitata in cantiere) alla fattispecie della sospensione illegittima dei lavori, contemplata nella norma capitolare.

Infatti, premesso che l’art. 25 del DM 145/2000 dispone che “Le sospensioni totali o parziali dei lavori disposte dalla stazione appaltante (committente) per cause diverse da quelle stabilite dall’articolo 24 sono considerate illegittime e danno diritto all’appaltatore (contraente generale) ad ottenere il riconoscimento dei danni prodotti”, perché si abbia una sospensione illegittima è necessario:

–  che lo stato di sospensione sia formalmente ordinato dal direttore dei lavori, ai sensi dell’articolo 133, comma 1, del regolamento;

– che, quindi, ai sensi dell’art. 133 del DPR 554/1999, sia redatto un verbale in contraddittorio tra D.L. ed impresa (comma 3), in cui sono indicate “le ragioni che hanno determinato l’interruzione dei lavori” (comma 3),  e sono impartite, sempre dal D.L.,  le “necessarie disposizioni al fine di contenere macchinari e mano d’opera nella misura strettamente necessaria per evitare danni alle opere già eseguite e facilitare la ripresa dei lavori”;

Il verbale di sospensione dei lavori ha dunque la funzione, tra le altre cose, di rendere edotto l’appaltatore che il cantiere deve considerarsi in situazione di fermo operativo per motivi che devono essere “espressamente indicati”, in modo tale che il soggetto esecutore possa smobilitare le aree interessate e ridimensionare la propria organizzazione per contenere i correlati pregiudizi economici. Il Collegio osserva che, nella fattispecie, non risultano formalizzati, nel periodo oggetto di indagine, verbali di sospensione dei lavori nei termini sopra indicati.

Accertato quindi che, sotto un profilo logico ed operativo, non è possibile un (implicito) accostamento tra sospensione illegittima dei lavori e anomalo andamento dei lavori, neanche per via analogica, il Collegio ritiene quindi di aderire al consolidato orientamento della giurisprudenza arbitrale  in cui viene scartata detta ipotesi, sul presupposto che la “ratio” della norma di cui all’art. 25 DM 145/2000 trova giustificazione (solo) nell’ipotesi di sospensione illegittima dei lavori. E così: “In caso di anomalo andamento dei lavori, ovvero di fermo del cantiere o di protrazione dell’appalto per cause non imputabili all’impresa, il mancato utile va liquidato in applicazione dei principi dettati dall’art. 2729 cod. civ., anche in assenza di una prova specifica del danno, attesa la natura imprenditoriale del soggetto esecutore, il quale, agendo tradizionalmente nel settore degli appalti, nel caso di ultimazione dell’appalto nei termini contrattuali avrebbe potuto destinare la propria organizzazione imprenditoriale all’esecuzione di altre commesse, senza che la quantificazione del danno sia limitata a quanto disposto dall’art. 25 DM 19 aprile 2000 n, 45” (lodo Roma 15 marzo n. 2010 n. 36, in Arch. Giur. OO.PP. 2010, 862); inoltre “in tema di risarcimento danni per anomalo andamento dei lavori, non si possono applicare i criteri indicati nell’art. 25 D.M. 19 aprile 2000 n. 145, in quanto gli stessi si riferiscono propriamente alla sola e specifica ipotesi di sospensione illegittima che, costituendo ipotesi speciale e/o eccezionale, è insuscettibile di applicazione analogica” (lodo Roma 26 settembre 2008 n. 126, in Arch. Giur. OO.PP. 2009, 72); ed ancora  “In caso di maggiori spese generali, l’art. 25 DM 19 aprile 2000 n. 145 si applica alle sole ipotesi di sospensione lavori, rinvenendo la sua ratio nel potere dovere dell’impresa, nel periodo di totale forzata inattività, di ridurre al minimo l’organizzazione deputata all’appalto, sicché non si applica in caso di anomalo andamento dei lavori rispetto alla quale nulla autorizza l’appaltatore ad operare il suddetto ridimensionamento, potendo l’impresa essere chiamata in ogni momento a riprendere con pienezza di mezzi e risorse le attività esecutive” (lodo Roma 28 maggio 2009 n. 69, in Arch. Giur. OO.PP. 2010, 69); analogamente “In caso delle maggiori spese generali derivanti da anomalo andamento e non da sospensione illegittima dei lavori è inapplicabile l’art. 25 D.M. 19 aprile 2000 n. 145” (lodo Roma 23 luglio 2009 n. 110, in Arch. Giur. OO.PP. 2010, 31) ; infine “in tema di risarcimento danni, le disposizioni del D.M. 19 aprile 2000 n. 145 non sono applicabili all’ipotesi di anomalo andamento dei lavori, perché si riferiscono alla sospensione dei lavori” (lodo Roma 24 maggio 2010, n. 72, in Arch. Giur. OO.PP. 2010, 939).

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