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Stralcio da lodo arbitrale Roma, 20 dicembre 2013 n° 94. Risoluzione del contratto di appalto per grave inadempimento della Stazione Appaltante: mancato pagamento dei corrispettivi di appalto e assenza di copertura finanziaria delle opere da realizzare – Diritto dell’appaltatore al pagamento del 10% di mancato utile sull’intero importo contrattuale e non sui 4/5

Collegio Arbitrale costituito da:

Avv. Rosa Ierardi (Presidente) – Ing. Arturo Varzi (Arbitro) – Avv. Ernesto Longo (Arbitro)

2.1. Sulla domanda di declaratoria della risoluzione del contratto per inadempimento del Comune di YYY. Stante la natura assorbente che la questione riveste in relazione a molte delle domande sottoposte alla propria cognizione con il Quesito n. 1 della XXX, il Collegio ritiene di doversi pronunciare in merito alla domanda di risoluzione contrattuale ex art. 1453 e segg.  c.c.;

Al riguardo, come riportato nella precedente narrativa, si rileva che l’Impresa attrice ha sostenuto che la Stazione Appaltante non avrebbe adempiuto al proprio obbligo di assicurare la regolarità ed esecutività del progetto appaltato, specie sotto il profilo della copertura finanziaria delle opere, omettendo di corrispondere tempestivamente i dovuti corrispettivi di appalto e venendo peraltro meno alle proprie reiterate rassicurazioni in proposito.

Tale inadempimento, unitamente al ritardo nella redazione della perizia di variante, avrebbe altresì dato luogo ad una violazione del dovere di cooperazione nell’esecuzione del contratto da parte della stessa Committente, e sarebbe stato suscettibile, anche in considerazione della gravità delle ripercussioni prodotte sull’andamento delle attività di commessa, di legittimare la risoluzione contrattuale in danno del Comune ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1453 c.c.

Il Collegio rileva, innanzitutto, che risulta documentalmente provato sia il consistente ritardo da parte dell’Amministrazione Comunale nella liquidazione dei corrispettivi di appalto, sia le ripercussioni che tale ritardo ha causato sulla tempistica della commessa, caratterizzata da una disarticolata dilazione dei termini di ultimazione dei lavori, con conseguente vincolo improduttivo, parziale e/o totale, dell’organizzazione aziendale della ditta XXX., come si avrà modo di osservare nel prosieguo.

In tal senso, come riportato nella precedente narrativa in fatto, vi è infatti che:

  • già a poca distanza dalla stipula del contratto di appalto (13 febbraio 2008), la Regione Calabria ha comunicato (13 marzo 2008) al Responsabile dell’ATO n. 1 di Cosenza (Ente che aveva stipulato la concessione di finanziamento dell’opera) e al Comune di YYY la nullità della concessione medesima, del che l’Amministrazione convenuta ha informato l’Impresa il successivo 8 aprile 2008 invitandola a sospendere le attività intraprese;
  • nonostante quanto sopra, con successiva Delibera di Giunta dell’8 maggio 2008 il Comune ha sollecitato il pronto riavvio dei lavori, ottenendo l’assenso dell’Impresa nella riunione del 23 maggio successivo, a fronte del proprio impegno a perfezionare i pagamenti, pur se all’esito dei lavori medesimi, comunque entro l’anno 2008, e della concessione di una proroga di 6 mesi del termine di esecuzione;
  • nel periodo successivo (entro il mese di dicembre 2008) l’Impresa ha provveduto ad ultimare le opere civili – anche in considerazione delle rassicurazioni medio tempore ricevute dal Comune in ordine alla disponibilità finanziaria a dire di quest’ultimo garantita da un mutuo contratto con la Cassa DD. e PP. – rappresentando nondimeno al Comune (nota del 4 dicembre 2008) che avrebbe dato corso all’acquisto delle apparecchiature elettroniche solo a fronte di ulteriori adeguate garanzie in ordine alla copertura finanziaria dell’opera;
  • in considerazione delle ulteriori rassicurazioni ricevute (nota del 29 dicembre 2008, con cui l’Amministrazione comunicava di aver ottenuto, unitamente al predetto mutuo, l’avvenuto ripristino del finanziamento regionale e successiva nota del 3 marzo 2009) l’Impresa ha dato corso anche al montaggio delle predette apparecchiature, ultimate nell’ottobre 2009, cui è infatti seguita l’emissione del I SAL (€ 311.031,09 oltre IVA) in data 30 ottobre 2009;
  • anche a seguito dell’emissione del SAL, non è seguito un tempestivo pagamento dei corrispettivi maturati, tanto che l’Impresa ha dovuto notificare in data 4 febbraio 2010 un atto di intimazione e diffida preannunciando, in difetto di riscontro nel termine di 60 giorni, l’instaurazione del presente procedimento arbitrale anche per ottenere la risoluzione contrattuale;
  • solo dopo la scadenza del termine assegnato con la predetta diffida, il Comune ha disposto il pagamento della minor somma di € 150.000,00 (24 aprile 2010), mentre il pagamento dell’importo ulteriore di € 172.901,73 è stato disposto il successivo 15 settembre 2010, addirittura in seguito alla notifica della domanda di arbitrato introduttiva del presente procedimento.

Tenuto conto delle suesposte circostanze, deve osservarsi che è evidente il grave ritardo da parte del Comune nella contabilizzazione prima, e nella liquidazione poi, dei corrispettivi di appalto.

A norma dell’art. 20 del Capitolato Speciale di Appalto, era infatti previsto che “1. I pagamenti avvengono per stati di avanzamento, mediante emissione di certificato di pagamento ogni volta che i lavori eseguiti, contabilizzati ai sensi dell’art. 26 e dell’art. 29, al netto del ribasso d’asta, comprensivi della relativa quota degli oneri per la sicurezza, raggiungano, al netto della ritenuta di cui al comma 2, un importo non inferiore a Euro 100.000,00. (…). 3. Entro i 45 giorni successivi all’avvenuto raggiungimento dell’importo dei lavori eseguiti di cui al comma 1, il direttore dei lavori redige la relativa contabilità e il responsabile del procedimento emette, entro lo stesso termine, il conseguente certificato di pagamento… 4. La Stazione appaltante provvede al pagamento del predetto certificato entro i successivi 30 giorni, mediante emissione dell’apposito mandato e l’erogazione a favore dell’appaltatore ai sensi dell’articolo 29 del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77

Tenuto conto di quanto sopra riportato, pertanto, deve rilevarsi che il Comune non ha rispettato né il tetto economico stabilito per l’emissione di ogni SAL (€ 100.000,00), né il successivo termine di pagamento (30 giorni dall’emissione del SAL e relativo certificato di pagamento), essendosi limitato a liquidare un primo mero acconto sul SAL n. 1 dopo quasi 6 mesi dall’emissione del SAL medesimo, successivamente anche allo scadere del termine all’uopo assegnato dall’Impresa con la propria diffida, ed a pagare un secondo acconto dopo ulteriori 5 mesi circa, a seguito della domanda di risoluzione contrattuale svolta dall’Impresa con l’atto di accesso al presente procedimento.

Tale circostanza rende del pari evidente l’avvenuta violazione da parte dell’Amministrazione municipale dell’art. 133 del D. Lgs. n. 163/2006.

Ed invero, tale disposizione normativa prevede come noto che “In caso di ritardo nella emissione dei certificati di pagamento o dei titoli di spesa relativi agli acconti e alla rata di saldo rispetto alle condizioni e ai termini stabiliti dal contratto, che non devono comunque superare quelli fissati dal regolamento di cui all’articolo 5, spettano all’esecutore dei lavori gli interessi, legali e moratori, questi ultimi nella misura accertata annualmente con decreto del Ministro delle infrastrutture, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ferma restando la sua facoltà, trascorsi i termini di cui sopra o, nel caso in cui l’ammontare delle rate di acconto, per le quali non sia stato tempestivamente emesso il certificato o il titolo di spesa, raggiunga il quarto dell’importo netto contrattuale, di agire ai sensi dell’articolo 1460 del codice civile, ovvero, previa costituzione in mora dell’amministrazione aggiudicatrice e trascorsi sessanta giorni dalla data della costituzione stessa, di promuovere il giudizio arbitrale per la dichiarazione di risoluzione del contratto”.

Tenuto conto di quanto rilevato in precedenza, non v’è dubbio che i gravi ritardi accumulati dal Comune nel pagamento dei corrispettivi, anche in relazione all’ammontare di questi ultimi – si rileva, infatti, che il SAL n. 1 è stato emesso per un importo quasi coincidente con il valore totale del contratto ed è stato liquidato, peraltro in due tranches, ben oltre lo scadere del termine di 60 giorni assegnato dall’Impresa con il proprio atto di diffida e costituzione in mora e, addirittura, con riferimento alla seconda tranche, successivamente alla notifica della domanda di arbitrato  – abbiano pienamente legittimato e giustificato il ricorso da parte della XXX al presente procedimento per ottenere la declaratoria di risoluzione contrattuale a norma dell’art. 133 del D. Lgs. n. 163/2006.

Ciò posto, oltre che sotto il profilo del tempestivo incasso dei corrispettivi, che già di per se giustifica pienamente la pronuncia della risoluzione contrattuale a norma del citato art. 133 del D. Lgs. n. 163/2006, anche sotto il profilo del tempo di esecuzione le attività di commessa sono risultate ampiamente stravolte, come dimostrato dalla documentazione e dalla corrispondenza suindicata, da cui si evince che le lavorazioni sono state condotte in maniera sicuramente disarticolata, sostanzialmente “a singhiozzo”, impegnando l’Impresa in cantiere, a fronte di un termine convenzionalmente previsto in 120 giorni naturali e consecutivi a decorrere dalla consegna del 27 febbraio 2008 (quindi con scadenza il 26 giugno 2008), almeno sino all’aprile del 2010; il tutto, senza che le suesposte problematiche siano in alcun modo dipese da ritardi e/o carenze operative dell’appaltatrice, mai contestate dal Comune nel corso della commessa.

Si ritiene pertanto che le suddette problematiche che hanno interessato il cantiere siano suscettibili di giustificare la risoluzione contrattuale richiesta dall’Impresa anche sotto il profilo della gravità dell’inadempimento ex art. 1453 e 1455 c.c.

Ed invero, in ordine ai criteri di apprezzamento da utilizzare ai fini della valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento, la Cassazione ha affermato che «lo scioglimento del contratto per inadempimento – salvo che la risoluzione operi di diritto – consegue ad una pronuncia costitutiva, che presuppone da parte del giudice la valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento stesso, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte; tale valutazione viene operata alla stregua di un duplice criterio, applicandosi in primo luogo un parametro oggettivo, attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in modo apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; completandosi, poi, l’indagine mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra), che possano, in relazione alle particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità, nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata» (Cass., sez. III, 28 marzo 2006, n. 7083; conf. Cass. sez. II, 7 febbraio 2001, n. 1773) e che «con riguardo alla disciplina della risoluzione per inadempimento dei contratti a prestazioni corrispettive, il disposto dell’art. 1455 c.c. pone una regola di proporzionalità, in virtù della quale la risoluzione del vincolo contrattuale è collegata unicamente all’inadempimento delle obbligazioni che abbiano una notevole rilevanza nell’economia del rapporto, per la cui valutazione – che costituisce apprezzamento di fatto demandato istituzionalmente al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione esauriente ed immune da vizi logici – occorre tener conto dell’esigenza di mantenere l’equilibrio tra prestazioni di eguale peso, talché l’importanza dell’inadempimento non deve essere intesa in senso subiettivo, in relazione alla stima che la parte creditrice abbia potuto fare del proprio interesse violato, ma in senso obiettivo, in relazione, cioè, all’attitudine dell’inadempimento a turbare l’equilibrio contrattuale ed a reagire sulla causa del contratto e sul comune intento negoziale» (Cass. sez. III, 14 giugno 2001, n. 8063).

Inoltre, è stato chiarito dalla Suprema Corte che «in tema di risoluzione contrattuale per inadempimento, la valutazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455 c.c., della non scarsa importanza dell’inadempimento deve ritenersi implicita ove l’inadempimento stesso si sia verificato con riguardo alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto, ovvero quando dal complesso della motivazione emerga che il giudice lo ha considerato tale da incidere in modo rilevante sull’equilibrio negoziale» (Cass., sez. III, 23 gennaio 2006, n. 1227; Cass., sez. III, 18 novembre 2005, n. 24460; Cass., sez. III, 1° ottobre 2004, n. 19652; Cass., sez. III, 28 luglio 2004, n. 14234; Cass. 30 marzo 1990, n. 2616).

Anche sulla scorta dei richiamati principi, pertanto, e del richiamato e riscontrato anomalo andamento della commessa, il Collegio ritiene che la domanda di risoluzione del contratto per fatto e colpa dell’Amministrazione debba essere accolta.

Il Collegio, nondimeno, ritiene di non condividere l’assunto di parte convenuta, secondo cui le predette problematiche che hanno interessato la commessa non sarebbero dipese dalla propria condotta colpevole ma sarebbero ascrivibili ad un factum principis – responsabilità dell’Ente terzo finanziatore dell’opera – non suscettibile di essere ascritto a responsabilità della medesima Amministrazione Comunale.

Al riguardo, occorre evidenziare che il più recente orientamento della giurisprudenza arbitrale ha stabilito sulla specifica fattispecie in esame che “L’imputabilità del ritardo nei pagamenti alla stazione appaltante sussiste anche quando esso sia dipeso in tutto o in parte da lungaggini o omissioni del soggetto finanziatore, in considerazione del principio che la stazione appaltante, in quanto altra parte del rapporto contrattuale, è tenuta a garantirne l’adempimento indipendentemente da comportamenti colpevoli di terzi” (Lodo Roma, 8 maggio 2013, n. 32, in www.avcp.it); ed inoltre, in maniera ancor più specifica, “Il soggetto appaltante è tenuto ad assolvere ai propri obblighi contrattuali nei confronti dell’appaltatore, a prescindere dalla tempestività degli adempimenti dell’ente finanziatore, ricorrendo, eventualmente, nel caso di ritardo di quest’ultimo, a proprie risorse finanziarie. In altre parole, non è possibile prendere in considerazione la natura delle cause dei ritardati pagamenti, al fine di liberare la singola stazione appaltante della relativa responsabilità. Il ritardo nei pagamenti costituisce sempre e comunque un fatto pregiudizievole per l’appaltatore, anche quando sia dipeso da circostanze non imputabili alla singola amministrazione. Essa, quindi, rimane comunque responsabile nei confronti dell’appaltatore, salvo poi l’eventuale esercizio del diritto di rivalsa nei confronti di cui il ritardo l’ha effettivamente provocato” (Lodo Roma, 24 giugno 2013, n. 48, in www.avcp.it).

Non vi sono ragioni per discostarsi dai suesposti principi, che si ritengono del tutto condivisibili.

Peraltro, in via subordinata, occorre rilevare che a giudizio del Collegio anche sotto il profilo della prova della non imputabilità a propria responsabilità della mancata-tardiva copertura finanziaria dell’opera il Comune non ha assolto al proprio onere probatorio.

Ed infatti, all’interno della nota prot. 1039/DG del 13 marzo 2008 – con cui la Regione Calabria ha comunicato all’ATO n. 1 di Cosenza e al Comune di YYY il venir meno del finanziamento in ragione della nullità della relativa concessione – la medesima Regione ha chiarito che “codesto ATO ha comunicato al settore n. 1 di avere rilasciato concessione provvisoria al Comune di YYY (prot. 1455 del 17/10/2007) per l’intervento codice APQ NC.01.1a1122/1 “Interventi urgenti e improcrastinabili per l’adeguamento e la messa in sicurezza dell’impianto di depurazione in loc. Sant’Angelo” per l’importo totale di € 700.000,00, ed ha richiesto l’erogazione della prima rata di finanziamento, pari al 20%, per l’importo di € 140.000,00. Poiché di suddetto intervento non vi è traccia nell’APQ “Tutela delle Acque e Gestione Integrata delle Risorse Idriche” sottoscritto il 28/06/2006, risulta evidente che la convenzione di cui sopra si palesa essere del tutto illegittima. Si ricorda, infatti, che ogni proposta di modifica alla selezione dei progetti riportati nell’APQ deve necessariamente essere trasmessa con opportune motivazioni al Responsabile dell’APQ, che ha il compito di valutarla e, se del caso, di condividerla, ai sensi delle competenze programmatiche proprie della Regione. Suddetta modifica va poi portata dal citato Responsabile al Tavolo dei Sottoscrittori l’APQ per l’approvazione finale. La procedura di cui sopra va effettuata di norma nel contesto del monitoraggio dell’APQ, occasione nella quale sono evidenziate le eventuali economie, e le conseguenti riprogrammazioni finanziarie, sulla cui destinazione solo il Responsabile è chiamato ad assumere decisione. Raccomandando per il futuro il rispetto delle modalità di gestione delle competenze assegnate, con la presente si dichiara la nullità della citata concessione con il Comune di YYY, per vizio di procedura e mancanza di copertura finanziaria”.

Dal testo della predetta comunicazione, si evince pertanto che a base della dichiarata nullità della concessione originaria vi erano tra l’altro dei vizi procedurali in relazione ai quali l’Amministrazione convenuta non ha in nessun modo preso posizione e che, pertanto, non consentono di escludere la responsabilità di quest’ultima in relazione alla dichiarata invalidità della concessione medesima.

A ciò si aggiunga, peraltro, che il Comune di YYY, dopo aver appreso della invalidità della concessione da parte dell’ATO n. 1 di Cosenza, ha dato conto di aver stipulato un mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti per sopperire al venir meno del finanziamento originario, con ciò confermando di ritenere esso stesso come proprio inderogabile obbligo – a prescindere dalla fonte del finanziamento – quello di garantire l’eseguibilità dell’intervento appaltato, anche sotto il profilo del tempestivo pagamento dei corrispettivi maturati dall’appaltatore; obbligo che tuttavia, nel prosieguo, non è stato adempiuto per scelta unilaterale della medesima Amministrazione comunale che, invece di liquidare le spettanze maturate in corso d’opera interamente con fondi propri o, eventualmente, con le risorse appositamente richieste alla Cassa Depositi e Prestiti, ha preferito percorrere la diversa strada del ripristino del finanziamento regionale, ottenendo in tal modo, come si è osservato in precedenza, l’erogazione delle somme necessarie con gravissimo ritardo e in misura solo parziale.

Anche sotto il profilo dell’imputabilità dell’adempimento, pertanto, si deve confermare la responsabilità del Comune di YYY, ritenendo fondata per le suesposte ragioni anche la contestata violazione del dovere di cooperazione nell’esecuzione dell’opera, pacificamente incombente sulla Stazione Appaltante in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale; ed invero, secondo la Suprema Corte “Il dovere di cooperazione, espressione dei doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, impone all’amministrazione appaltante di osservare tutti quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal generale dovere del neminem laedere, appaiano idonei a preservare gli interessi dell’appaltatore senza rappresentare per essa un apprezzabile sacrificio e senza comportare lo svolgimento di attività eccezionali per conoscere e rimuovere ostacoli sopraggiunti ed imprevedibili” (Cass. civ., sez. I, 23-05-2002, n. 7543).

Sulla scorta delle suesposte considerazioni, il Collegio dichiara pertanto la risoluzione del contratto di appalto Rep. n. 432 del 13 febbraio 2008 per inadempimento del Committente Comune di YYY ai sensi e per gli effetti dell’art. 133 del D. Lgs. n. 163/2006 nonché del combinato disposto degli artt. 1453 e 1455 c.c.

[omissis]

2.3. Sempre con il primo quesito, l’Impresa ha anche richiesto al Collegio di condannare il Comune di Rossano al risarcimento del danno da lucro cessante per non aver potuto ultimare le prestazioni contrattuali, determinato nella misura del 10% delle opere non eseguite.

Anche tale domanda è meritevole di accoglimento.

Ed invero, la riconoscibilità di tale voce di danno come conseguenza della risoluzione contrattuale per inadempimento del Committente è stata costantemente affermata dalla giurisprudenza, in applicazione analogica del disposto dell’art. 122 del D.P.R. 554/1999, che si riferisce all’ipotesi di recesso unilaterale dell’Amministrazione committente.

La giurisprudenza ha infatti da tempo chiarito che «In caso di risoluzione del contratto per inadempimento della p.a., l’entità del risarcimento è pari al mancato guadagno ragguagliato in misura pari al dieci per cento della differenza tra il corrispettivo contrattuale, come successivamente incrementato, e il corrispettivo netto delle opere eseguite» (così Coll. Arb. Roma, 12 aprile 2005), precisando altresì che «In caso di risoluzione del contratto per fatto del committente, l’appaltatore ha diritto, a titolo di lucro cessante, al decimo dei lavori non eseguiti, calcolato sull’intero importo contrattuale e non sui quattro quinti dello stesso» (così « Coll. Arb. Padova, 15 maggio 2000; conf. Coll. Arb. Roma, 19 settembre 2002; Coll. Arb. Roma, 18 novembre 2002; Coll. Arb. Roma, 28 febbraio 2000). Sul punto si è espressa anche la Suprema Corte, secondo cui “In caso di risoluzione di appalto di opere pubbliche, per inadempimento dell’amministrazione, sulle somme da corrispondere all’appaltatore, all’esito dello scioglimento del rapporto, sono dovuti, ai sensi dell’art. 35 d.p.r. n. 1063 del 1962, gli interessi moratori per il ritardo nel pagamento degli acconti solo per le voci che attengono al pagamento di rate già maturate per lavori eseguiti, mentre per le altre voci di credito dell’impresa, quali il valore dei materiali presenti in cantiere o il decimo dei lavori non eseguiti, sono dovuti solo gli interessi legali dalla domanda o dalla messa in mora” (Cass., sez. I, 06-11-2007, n. 23089)

Va altresì rilevato che, secondo l’orientamento giurisprudenziale, cui questo Collegio ancora una volta ritiene di aderire,  nell’ipotesi di risoluzione contrattuale per grave inadempimento del Committente, contrariamente alle previsioni del citato art. 122 del D.P.R. 554/1999, il decimo va correttamente calcolato sull’intero importo contrattuale, in quanto, in tal caso, l’interruzione del rapporto è imputabile ad inadempimento dell’Ente e non al legittimo esercizio della sua facoltà di recesso. Infatti “in caso di risoluzione per inadempimento della Committente, il risarcimento riguardante le opere non eseguite va determinato calcolando il 10% sull’importo dei lavori non eseguiti” (lodo Roma 7 giugno 2004 n. 36, in Arch. Giur. OO.P.P, 2005, 867); ed ancora “In caso di risoluzione del contratto per fatto del committente, l’appaltatore ha diritto, a titolo di lucro cessante, al decimo dei lavori non eseguiti, calcolato sull’intero importo contrattuale e non sui quattro quinti dello stesso” (lodo Arb. Padova, 15-05-2000, in Arch. giur. OO.PP., 2001, 893); infine “In caso di risoluzione del contratto per inadempimento della committente, l’appaltatore ha diritto al mancato guadagno sui lavori non eseguiti alla data della domanda di arbitrato nella misura del decimo, analogamente a quanto previsto dall’art. 345 l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. F per l’indennizzo in caso di scioglimento del contratto per volontà unilaterale dell’amministrazione, senza però alcuna riduzione, atteso che la facoltà della stazione appaltante di diminuire la consistenza delle opere appaltate fino alla concorrenza di un quinto del prezzo pattuito, a norma dell’art. 344 l. n. 2248 cit., può incidere sulla vicenda contrattuale solo quando sia stata concretamente esercitata, non potendo invece essere astrattamente invocata dalla committente per ottenere una riduzione dell’entità del risarcimento per inadempimento” (Arb. Roma, 21-07-1998, in Arch. Giur. OO.PP., 2000, 1211).

Come già osservato, il Collegio non ha motivo di discostarsi da tale orientamento giurisprudenziale, che trova il proprio fondamento normativo nell’art. 1223 cod. civ.

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