Collegio Arbitrale costituito da:
Dott. Pasquale De Lise (Presidente) – Ing. Arturo Varzi (Arbitro) – Ing. Gianfranco De Martino (Arbitro)
3.3. Al fine di accertare su quale delle parti debba gravare la responsabilità in ordine ad una vicenda che non può non considerarsi “peculiare”, attesa la durata abnorme dei lavori, prevista contrattualmente in 240 giorni e protrattasi, invece, per circa cinque anni (dal luglio 2007 al giugno 2012), va richiamata la cronologia dell’esecuzione dell’opera, quale risulta dagli atti (v. retro, pag. 2-13).
Tale cronologia rende evidente l’andamento anomalo dell’appalto, che ha comportato un notevole rallentamento nella esecuzione dei lavori, ascrivibile, con le precisazioni di cui si dirà in seguito, a responsabilità del Comune, riscontrabile sia nella fase progettuale che in quella realizzativa.
Quanto alla prima, va rilevato che il progetto posto a base della gara è espressamente qualificato, nella deliberazione della Giunta del 13 dicembre 2006 che lo aveva approvato (richiamata nelle premesse del contratto), come “preliminare, definitivo ed esecutivo”. Sono quindi applicabili gli artt. 35 e ss. del regolamento n. 554 del 1999 e l’art. 93, comma 5, del codice dei contratti pubblici, che disciplinano le modalità di redazione, il contenuto, gli allegati e quant’altro del progetto esecutivo, sancendo il principio indefettibile, che permea l’intera normativa in materia di appalti pubblici, della “completezza progettuale”, la quale soltanto rende possibile la piena e tempestiva realizzazione dell’opera.
Che, nella specie, il Comune, al quale, come stazione appaltante, il relativo obbligo incombeva, non abbia provveduto in maniera adeguata alla predisposizione del progetto esecutivo, compiendo una accurata attività di indagine e di accertamento, va rimarcato, per quanto in questa sede interessa, in particolare sotto i due aspetti della disponibilità delle aree e del censimento delle utenze sotterranee, che sono quelli che hanno incisivamente influenzato, in senso negativo, l’andamento dell’appalto.
A tale riguardo va innanzitutto rilevato che lo stravolgimento del cronoprogramma allegato al progetto esecutivo approvato dal Comune (ex art. 35, lett. h, del regolamento) per fatti sicuramente non imputabili all’impresa consente di superare il rilievo del Comune, che addebita alla stessa la mancata predisposizione di un proprio cronoprogramma. E’ infatti evidente che un siffatto adempimento era del tutto superfluo, in presenza della disposizione di cui all’art. 1.4.1 del capitolato speciale di appalto, che prevedeva che l’opera avrebbe dovuto essere realizzata “in due fasi successive”, precisando che “1. In una prima fase si farà la consegna dei lavori per la realizzazione delle opere sulle aree libere od immediatamente rese libere anche con lavori previsti in progetto; tali aree sono ben individuabili nell’elaborato grafico individuato come TAV. A04; 2. In una seconda fase si consegneranno le aree necessarie al completamento del progetto cioè le aree sottostanti i bastioni attualmente occupate da manufatti in cls denominati “Bancarelle”.
Pertanto, secondo tale previsione, i lavori avrebbero dovuto essere sviluppati dapprima nella aree immediatamente disponibili oggetto della prima consegna, specificamente identificate nell’elaborato grafico, ed in una fase immediatamente successiva nelle aree residue, ossia quelle “sottostanti i bastioni attualmente occupate da manufatti in cls denominati “Bancarelle”.
Inoltre, nella relazione al cronoprogramma predisposto dal Comune era previsto che le due fasi avrebbero dovuto essere sviluppate senza soluzione di continuità, in modo da consentire l’ultimazione dei lavori nel termine contrattualmente previsto di 240 giorni dalla consegna.
In particolare, per la prima fase, riguardante l’intervento su “Piazza/Via Tellini”, il cronoprogramma prevedeva una durata corrispondente ai primi 173 giorni, seguita dalla smobilitazione del cantiere (della durata di 2 giorni) e da una seconda fase (su “Via Tellini-Bancarelle”) della durata di ulteriori 63 giorni e, infine, dalla smobilitazione finale del cantiere (ulteriori 2 giorni), per complessivi 240 giorni (giorni 173 + 2 + 63 +2).
Il che è confermato dal verbale di consegna del 13 luglio 2007 in cui la D.L. precisa che i lavori “dovranno essere compiuti in giorni consecutivi n. 240 decorrenti dalla data del presente verbale e, perciò, cessanti il giorno 08.03.2008”.
Da quant’innanzi non deriva, peraltro, come sostenuto dall’impresa, l’impossibilità di interpretare le clausole contrattuali (e, in particolare, l’art. 1.4.1 del c.s.a.) come esclusione, in via assoluta, della facoltà della stazione appaltante di procedere a consegne parziali. Una impostazione siffatta contrasterebbe con i principi di buona fede, di correttezza e di collaborazione cui debbono essere improntati i rapporti contrattuali, e ciò tanto più allorché di essi sia parte una pubblica amministrazione. Tuttavia, il ricorso alle consegne parziali non può essere dilatato a dismisura, come è accaduto nel caso di specie (in cui vi sono state numerose consegne parziali, anche successivamente alla scadenza del termine contrattuale di ultimazione dei lavori), perché in tal modo si violerebbero i criteri della ragionevolezza prima ancora di quelli contrattualmente stabiliti.
Del resto, la realizzazione dell’opera è stata fortemente influenzata da una serie di eventi, quale la sospensione dei lavori, ordini di servizio, varianti e quant’altro, specificamente elencati nella narrativa che precede, che, oltre a dimostrare l’imputabilità all’Amministrazione dello stravolgimento temporale della realizzazione dell’opera, valgono ad escludere fondatezza del rilievo mosso all’impresa esecutrice in ordine alla mancata redazione del cronoprogramma.
A dimostrazione di ciò il Collegio ritiene sufficiente richiamare i seguenti aspetti.
Il primo attiene alla consegna dei lavori avvenuta il 13 luglio 2007, cui seguì, dopo solo sei giorni la sospensione “per motivi di forza maggiore”, successivamente riferiti “al problema del traffico nella stagione estiva”. E’ evidente, peraltro, come tale problema non sia suscettibile di integrare una causa di sospensione legittima dei lavori, poiché, afferendo alla regolamentazione della viabilità cittadina nel periodo estivo di ogni anno, rientra nella ordinaria responsabilità gestionale dell’Amministrazione comunale e non può certo essere qualificato come un evento sopravvenuto imprevisto e imprevedibile al momento della stipulazione del contratto o della consegna dei lavori; al contrario, proprio in considerazione della sua prevedibilità, va ritenuto che tale problema avrebbe dovuto essere oggetto di una diversa e più accorta programmazione da parte della stazione appaltante anteriormente all’affidamento dell’opera.
Per tale sospensione dei lavori torna applicabile il principio, ripetutamente affermato in giurisprudenza, secondo il quale le circostanze che, ai sensi della disciplina legislativa e regolamentare in materia, legittimano l’ordine di sospensione dei lavori vanno identificate in esigenze pubblicistiche oggettive e sopravvenute, non previste né prevedibili dall’Amministrazione con l’uso dell’ordinaria diligenza, così che esse non possono essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza o imprevidenza dell’Amministrazione medesima.
Un altro aspetto della poco accorta gestione dei lavori da parte dell’Amministrazione committente si evince dal verbale di consegna parziale in data 8 marzo 2010 (allorché l’originario termine di ultimazione dell’8 marzo 2008 era già di gran lunga decorso), con suddivisione del cantiere in tre distinti lotti operativi, prevedendo una “fasizzazione” dei lavori, diversa da quella prevista nel progetto (“1° lotto: completamento area incrocio tra le Vie Tellini- V trav. Reggio – Discesa S. Leonardo e Discesa Marina; 2° lotto: area di Piazza Mercato fino all’intersezione con la I trav. Reggio; 3° lotto: area stradale di Via Tellini”), di cui solo il primo concretamente disponibile alla data del verbale.
3.4. Quanto alla fase realizzativa, il Collegio rileva che sono state due, in particolare, le cause dell’andamento dei lavori, irregolare e irragionevolmente prolungato nel tempo: la mancata disponibilità delle aree e la presenza dei sottoservizi.
E’ pacifico, in quanto ripetutamente affermato in giurisprudenza, che la consegna dei lavori – cui è connessa inscindibilmente la disponibilità delle aree su cui gli stessi debbono essere realizzati – costituisce uno specifico, fondamentale obbligo del committente. Infatti, negli appalti pubblici, regolati da leggi speciali o da capitolati generali con efficacia normativa, la “consegna dei lavori” all’appaltatore essenziale, – come si è detto, per consentire la realizzazione delle opere – si configura come un obbligo della pubblica amministrazione, il cui inadempimento è fonte di responsabilità contrattuale per l’Amministrazione, in quanto il dovere di collaborazione della stessa non cessa di essere contrattuale solo perché deriva dalla legge, essendo questa una delle fonti di integrazione del contratto ai sensi dell’art. 1374 cod.civ.
Nella specie, esso non è stato adempiuto in maniera adeguata, conformemente alle pattuizioni contrattuali, in quanto – come si è detto – alla consegna è seguita la sospensione del 13 luglio 2007, disposta dopo solo sei giorni dalla consegna, tanto da poter essere considerata puramente formale, e poi consegne parziali per indisponibilità delle aree (in particolare, per la questione delle c.d. “bancarelle” che ab initio non poteva non essere ben nota al Comune e la cui soluzione rientrava nelle sue esclusive attribuzioni), con inevitabili ripercussioni negative sull’andamento dei lavori.
L’altro aspetto rilevante ai fini dello stravolgimento dell’andamento dei lavori rispetto alle originarie previsioni progettuali è costituito dalla circostanza che durante l’iter esecutivo è stata riscontrata la presenza di numerose utenze sotterranee (idriche, tecnologiche e simili) vetuste e inefficienti, il cui rifacimento non era previsto negli elaborati progettuali e che è stato oggetto di successive specifiche istruzioni impartite dalla D.L. all’impresa. Questa è stata quindi costretta ad operare in condizioni di disagio operativo, considerato che la mancata preventiva indicazione dello spostamento o del rifacimento delle utenze preesistenti nel sottosuolo interferiva inevitabilmente con il normale processo esecutivo riducendo la capacità produttiva.
La presenza delle utenze sotterranee bisognevoli di interventi non è contestata dal Comune e trova comunque riscontro nell’o.d.s. n. 1 del 29 ottobre 2007 con cui la D.L. ha ordinato all’impresa la “sostituzione di allacci alla rete idrica ….” e dei relativi manufatti accessori (pozzetti, chiusini, etc.) e si evince anche dalla relazione alla perizia di variante redatta dal Comune, in cui, nell’ambito delle integrazioni disposte per superare gli impedimenti al regolare prosieguo dei lavori, è stata confermata la necessità di ripristinare gli “impianti tecnologici stradali vetusti ed inefficienti”.
In tal modo operando la stazione appaltante non ha adempiuto a quanto prescritto, ai fini della redazione del progetto, dall’art. 26, comma 2, lett. e) del D.P.R. 554/1999, ove è prevista espressamente la “verifica sulle interferenze delle reti aeree e sotterranee con i nuovi manufatti”, nonché dall’art. 93 del D. Lgs. 163/2006.
Ai sensi di tali disposizioni, la individuazione delle utenze e le relative prescrizioni operative rientrano nell’esclusiva competenza del committente in sede di redazione dei progetti e non possono essere accollate all’appaltatore se non per gli aspetti esecutivi, previo intervento del committente stesso.
E’ chiaro, infatti, che una circostanza, specificamente attinente al territorio comunale, ignota e comunque ignorata dall’Amministrazione sia nella fase progettuale che nella prima parte di quella esecutiva, non poteva essere preventivamente conosciuta dall’appaltatore.
Del resto, la previsione delle utenze e le prescrizioni relative alla loro “sistemazione” – esclusa l’applicabilità dell’art. 1.5.1 del C.S.A., riferibile ad una fattispecie diversa – debbono ritenersi comprese fra gli obblighi di cooperazione incombenti all’Amministrazione committente, la quale è tenuta a rendere possibile la realizzazione dell’opera da parte dell’appaltatore, senza aggravi – tecnici, economici e temporali – ulteriori rispetto a quelli su di esso ordinariamente gravanti, previsti negli atti contrattuali o ragionevolmente prevedibili.
Ora, l’esistenza delle utenze, la molteplicità delle stesse, la mancata previsione di esse nel progetto, l’assenza da parte dell’Amministrazione di adeguate e tempestive indicazioni per risolvere il problema sono circostanze che hanno sicuramente inciso sull’andamento dell’appalto, alterandone la regolarità esecutiva e temporale.
Va, infine, posto in rilievo il ritardo con il quale il Comune committente provvide alla redazione (settembre 2009) ed alla approvazione (febbraio 2010) di una perizia di variante (v. retro, pag. 7), accompagnata da un atto di sottomissione sottoscritto dall’impresa, con cui – preso atto della indisponibilità di alcune aree, degli interventi rivelatisi necessari in ordine alle sottostrutture stradali esistenti e alle variazioni ritenute opportune relativamente alle pavimentazioni – furono disposti lo stralcio di alcune opere e l’introduzione di altre, tentando di definire il quadro progettuale senza peraltro riuscirvi del tutto, come risulta dai verbali di consegna parziale delle aree e dagli ordini di servizio succedutisi per quasi tutto il 2011, fino a giungere all’ultimazione dei lavori, certificata il 15 giugno 2012, all’emissione dello stato finale e al certificato di regolare esecuzione, entrambi in data 18 giugno 2012.
A questo punto va richiamato il costante orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il contratto di appalto (compreso quello di opere pubbliche) ha carattere commutativo e non aleatorio, che non tollera l’imposizione all’appaltatore di un rischio ragionevolmente non prevedibile e, per di più, a tempo indeterminato, né consente di ritenere che il rischio delle difficoltà dell’opus che fa capo all’appaltatore possa dipendere da fatto dell’amministrazione (o di terzi) le cui conseguenze ricadono, invece, sullo stesso committente. E’ pertanto applicabile il principio, da tempo acquisito, secondo il quale l’obbligo di cooperazione che incombe sull’Amministrazione, in quanto può condizionare l’attività solutoria del debitore, deve essere adempiuto in modo da assicurare che lo svolgimento complessivo dei lavori proceda senza particolari aggravi per l’appaltatore.
Come è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la preminenza della posizione riservata alla pubblica amministrazione committente, derivante dall’essere l’opera appaltata rivolta a fini pubblici, non incide sulla natura privatistica del contratto di appalto di opere pubbliche, anche nel quale è configurabile, in capo all’amministrazione committente, creditrice dell’opus, un dovere – discendente dall’espresso riferimento contenuto nell’art. 1206 cod. civ. (là richiama il compimento, da parte del creditore, di quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere l’obbligazione) e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva, che permeano la disciplina delle obbligazioni e dei contratti, con particolare riguardo al momento della esecuzione – di cooperare all’adempimento dell’appaltatore, attraverso il compimento di quelle attività, distinte dal comportamento dovuto dal debitore, necessarie affinchè quest’ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio, ossia la soddisfazione dell’interesse della stessa stazione appaltante.
Tale dovere di cooperazione assume una particolare rilevanza nell’appalto di opere pubbliche, nel quale l’attività dell’appaltatore è vincolata al concorso della pubblica Amministrazione in modo più accentuato che negli appalti privati, e si estrinseca, tra l’altro, nell’ottemperanza alle regole della correttezza (art. 1175 cod. civ.) e della buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.).
Il dovere di correttezza e di buona fede impone perciò all’Amministrazione committente di serbare un comportamento che, indipendentemente dagli specifici obblighi contrattuali e dal dovere generale del neminem laedere, sia idoneo a preservare gli interessi dell’appaltatore.
Facendo leva su tali concetti, l’inadempimento dell’Amministrazione, che giustifica la responsabilità della stessa e il conseguente risarcimento del danno subito dall’impresa, nei limiti di cui si dirà in seguito, si fonda, oltre che sul comportamento complessivamente serbato dall’Amministrazione nella vicenda contrattuale in esame, su una serie di elementi, quali quelli, innanzi considerati, della consegna delle aree avvenuta “a singhiozzo”, della questione delle utenze preesistenti, non previste in progetto, della sospensione, delle prescrizioni impartite dalla D.L. con svariati ordini di servizio, della tardiva approvazione della perizia suppletiva, tutti elementi che hanno condotto ad una dilatazione – ripetesi – abnorme della durata dei lavori (dai 240 giorni previsti contrattualmente ai quasi 5 anni di durata effettiva). Sulla quale durata – è bene precisare – non solo l’Amministrazione non ha mosso alcun addebito all’impresa, né nel corso dello svolgimento del rapporto contrattuale o alla sua conclusione (astenendosi dall’applicazione dell’eventuale penale) né nel presente giudizio; ma – va rilevato – nel verbale di ultimazione lavori del 15 giugno 2012 si legge che “in base al calcolo del periodo delle sospensioni effettuate e delle consegne parziali dei lavori, la ultimazione dei lavori doveva compiersi per il giorno 30.06.2012”, e quindi “i lavori in oggetto possono considerarsi ultimati e quindi entro il tempo contrattuale”.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, deve ritenersi che l’Amministrazione non abbia adempiuto l’obbligo di cooperazione nei confronti dell’appaltatore, in quanto, avendo essa predisposto il progetto e avendo riconosciuto che lo stesso non era realizzabile sotto l’aspetto esecutivo e temporale, da un lato ha omesso di impartire all’appaltatore direttive univoche e tempestive e, dall’altro, ha tardivamente provveduto nella prescritta forma della perizia di variante.
Questi profili si legano strettamente tra loro ai fini della configurabilità dell’inadempimento dell’Amministrazione proprio perché l’andamento anomalo dell’appalto – dovuto, ripetesi, alla frazionata consegna delle aree, alla questione delle utenze e alle modificazioni apportate – nel suo complesso avrebbe potuto trovare adeguata sistemazione soltanto all’interno di una tempestiva perizia di variante, la quale, oltre agli aspetti tecnici ed a quelli economici, avrebbe dovuto disciplinare anche quelli temporali, tenuto conto dell’avvenuto verificarsi della consumazione dell’intero tempo previsto contrattualmente.
Il Collegio deve peraltro darsi carico di due argomentazioni svolte dalla difesa del Comune.
Secondo la prima, le domande dell’impresa avrebbero sostanzialmente dovuto essere considerate come conseguenti ad una “sospensione dei lavori protrattasi nel tempo anche in più fasi per ragioni di pubblico interesse”; dal che deriverebbe l’applicabilità alla fattispecie della disciplina dettata dall’art. 24, comma 4, del capitolato generale d’appalto, in base alla quale la omessa richiesta in corso di commessa da parte dell’appaltatore di scioglimento del vincolo contrattuale dovrebbe essere intesa “come acquiescenza al protrarsi della sospensione e perciò come rinunzia al ristoro dei maggiori oneri, considerato che presupposto imprescindibile di questo è l’istanza di risoluzione e la sua mancata accettazione da parte dell’ente appaltante”.
In senso contrario va rilevato che l’impresa non deduce specificamente la illegittimità delle sospensioni (pur in concreto ravvisabile, in difetto dei presupposti di cui agli artt. 24 del capitolato generale e 133 del regolamento), ma si duole del comportamento complessivo dell’Amministrazione, in relazione agli aspetti che il Collegio ha in precedenza esaminato e, in particolare, della violazione dell’obbligo di cooperazione gravante sul committente nei confronti dell’appaltatore.
Pertanto – a parte il rilievo che il disposto del quarto comma del citato art. 24 (“l’appaltatore può richiedere lo scioglimento del contratto senza indennità”) configura una facoltà del contraente privato e non un onere a carico dello stesso, dal cui inadempimento deriverebbe l’impossibilità di richiedere alcuna “indennità” – la disposizione in questione non costituisce il fondamento della pretesa dell’impresa, per cui il rilievo del Comune non è meritevole di accoglimento.
In senso contrario non può essere condiviso il richiamo, operato dalla difesa del Comune, alla pronuncia della Corte di Cassazione n. 1570 del 1995, in quanto essa si riferisce ad una fattispecie che presentava tratti peculiari, del tutto assenti nella presente controversia, consistenti nell’aver predisposto un “meccanismo concordato per dar luogo all’affidamento di nuovi lavori all’impresa, senza rispettare la prescritta procedura di scelta del contraente”, considerando la sospensione in corso d’opera “lo strumento privilegiato, legittimamente praticabile, per consentire l’affidamento alla stessa ditta appaltatrice degli ulteriori lavori, a trattativa privata, senza la necessità di indire una nuova gara d’appalto” (sic!).
L’altra questione sollevata dal Comune attiene alla circostanza che, in relazione alla perizia di variante, l’impresa ebbe a sottoscrivere un atto di sottomissione, in tal modo non solo accettando il contenuto della perizia, ma prestando acquiescenza al comportamento della stazione appaltante e precludendosi in tal modo qualsiasi richiesta di danni riferita al periodo successivo.
Anche tale argomentazione non è fondata.
Già si è rilevato come la perizia sia stata redatta ed approvata dal Comune con grave ritardo; ma, in disparte ciò, va ritenuto che l’atto di sottomissione concerne il contenuto della perizia, con riguardo alle varianti che essa apportava al progetto originario di cui al contratto di appalto e a quelle, disposte nel corso dei lavori, che sanava. Ma da essa non può farsi derivare la preclusione di far valere pretese relative al comportamento che il Comune avrebbe eventualmente tenuto nel prosieguo dei lavori, dal quale sarebbero potuti derivare danni per l’impresa, come in realtà è avvenuto. In altri termini, non è configurabile una rinuncia (o acquiescenza) preventiva rispetto a fatti futuri, non conosciuti né conoscibili dall’impresa, eventualmente produttivi di ulteriori danni.
4. Affermata la responsabilità del Comune e passando alla liquidazione del danno subito dall’impresa, che il Comune è tenuto a risarcire, va rilevato ce con il quesito in esame l’impresa quantifica la domanda di risarcimento – riferita alle riserve n. 2, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 – in €. 2.802.537,48
[omissis ]
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