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Stralcio da lodo arbitrale Roma, 4 dicembre 2012 n° 96. In caso di sospensione illegittima dei lavori l’impresa, per far valere le proprie eventuali pretese, è tenuta esclusivamente a contestare l’illegittimità del provvedimento, senza necessità di una quantificazione dei danni (non ancora) subiti

Collegio Arbitrale costituito da:

Avv. Giuseppina Buongiorno (Presidente) – Ing. Arturo Varzi (Arbitro) – Ing.  Mirko E. Caputo (Arbitro)

Concettualmente prodromico appare al Collegio l’esame dell’eccezione sollevata dalla difesa del Comune di decadenza dalla riserva apposta dall’impresa per non essere stata la stessa esplicitata nel registro di contabilità nel termine perentorio e decadenziale di quindici giorni dalla formulazione in calce al verbale di sospensione lavori e, quindi nel termine del 2.8.2007 ..

Nelle proprie memorie il Comune di YYY deduce, infatti, in comparsa di costituzione  la violazione da parte dell’impresa dell’art 54 del RD 350 / 1895, ed in sede conclusionale anche dell’art. 133, c. 8, del d.P.R. 554/1999.

L’eccezione va integralmente disattesa.

Al riguardo va, infatti, sottolineato come in materia di appalto di opere pubbliche, il  principio di massima è che l’appaltatore per far valere le  pretese di maggiori compensi debba pregiudizialmente  presentare domanda da iscriversi nei documenti che hanno ad oggetto l’accertamento e la registrazione di  tutti i fatti producesti spesa e che, per espresso obbligo normativo, devono essere sottoscritti dall’appaltatore, nei termini e con le modalità prefissate da cogenti norme regolamentari  (ex plurimis :  Trib Napoli- Sez Frattamaggiore 23 luglio 2009 ) .

Infatti, le disposizioni speciali a far data dal regolamento del 25.5.1985 n. 350 si sono  date sempre carico di disciplinare la proposizione delle pretese fatte valere dall’appaltatore nei confronti dell’amministrazione  committente, nascenti dall’esecuzione dell’opera e che, a qualsiasi titolo, si concretino in una richiesta di maggiori compensi rispetto al  corrispettivo contabilizzato dall’amministrazione.

Detto rigore e formalità persegue lo scopo di assicurare che le contestazioni avanzate dal soggetto esecutore siano portate tempestivamente e compiutamente a conoscenza della stazione appaltante, non solo per consentire un puntuale esame della loro  fondatezza , ma anche per esigenze correlate alla evidenza e certezza  della spesa  nella sua entità quantitativa e

tanto precipuamente nell’interesse pubblico perché, come sempre chiarito  dalla giurisprudenza di legittimità, l’amministrazione  possa e debba conoscere tempestivamente e costantemente tutti i fattori suscettibili di aggravare il costo dell’opera in modo da poter esser in grado di esercitare ogni necessaria verifica e valutare l’adozione dei provvedimenti opportuni.

L’appaltatore, pertanto, non potrebbe  – tranne che per limitati casi eccezionali – agire in giudizio (dinanzi al giudice ordinario o arbitrale ) con un’azione  di pagamento  qualora sia decaduto dalla stessa per l’inadempimento di un proprio onere (omessa e/o intempestiva annotazione delle riserve ) né potrebbe, per avventura, agire con un’azione di ingiustificato arricchimento atteso il carattere pacificamente  sussidiario della medesima.

Ciò premesso, appare evidente  come detta delibazione sia, infatti, prioritaria attesa che deve esser condotta prima della valutazione  della   legittimità o meno della sospensione dei lavori appaltati, disposta dalla  DL con verbale del 18.7.2007,  protrattasi sino al 4 giugno 2008  e ,quindi,  dell’esame della  fondatezza o meno della domanda in ordine all’an debeatur.

Laddove detta riserva, infatti, sia da considerare non ritualmente e tempestivamente apposta sarebbe inammissibile la domanda per il riconoscimento dell’illegittimità  della sospensione e la condanna al pagamento dei danni relativi.

Ad avviso del Collegio l’appaltatore ha puntualmente  assolto  gli oneri relativi all’apposizione delle riserve.

A tale riguardo va preliminarmente sottolineato che, per il caso de quo, sotto il profilo normativo i riferimenti principali in materia di riserve di appalti pubblici sono rappresentati dal Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999 n 554 (regolamento dei lavori pubblici ) e dal Decreto Ministeriale 19 aprile 2000 n. 145  (capitolato generale di appalto). E’ questa l’impalcatura normativa che trova applicazione in virtù del principio “ tempus regit actum “ che individua la normativa applicabile di riferimento  al momento della  pubblicazione  del bando.

Il principio in esame trova il suo riconoscimento nell’ordinamento tramite l’art 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, che statuisce come la legge disponga solamente per l’avvenire, recependo la naturale avversione nei confronti della norma che tolga certezza al passato. Questa regola esprime un principio di ordine generale, applicabile ad ogni branca del diritto, dal diritto privato al diritto pubblico, dalle situazioni negoziali a quelle legali; dalle situazioni patrimoniali a quelle di qualsivoglia natura ed in virtù di tale disposizione, ogni atto deve trovare il proprio regime giuridico di riferimento nella disciplina normativa in vigore nel tempo in cui è stato posto in essere.

 Non appare , dunque, revocabile in dubbio come  la disciplina invocata dalla  difesa del Comune: art 54 DPR n1063 del 1962 non trovi applicazione all’appalto che ci occupa essendo  stata abrogata dal DPR 554/99.

Fatte queste premesse, come rilevato due sono le disposizioni fondamentali che disciplinano l’istituto del riserve , e cioè l’art 165 del regolamento LL.PP 554/ 1999 e l’art 31 del CGA approvato con DM 19 aprile 2000 n. 145.  Si tratta di due disposizioni che più che abrogative  la seconda della  prima, appaiono  integrarsi vicendevolmente: la prima (articolo 165 reg.) disciplina l’iscrizione delle riserve nel registro di contabilità; la seconda (articolo 31 CGA) ribadisce la disciplina dell’iscrizione nel registro di contabilità, ma la integra con la previsione dell’onere di iscrizione a pena di decadenza anche su altri atti dell’appalto diversi dal registro di contabilità. L’appaltatore, dunque, se vuole evitare la decadenza deve porre in essere un’attività consistente in una fattispecie a formazione progressiva risultante da più atti, e cioè:

– formulazione della domanda, sul  primo atto dell’appalto idoneo a riceverla immediatamente successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’appaltatore (articolo 31, comma secondo, CGA);

– successiva iscrizione della stessa domanda anche sul registro di contabilità all’atto della sua sottoscrizione immediatamente successiva al  fatto pregiudizievole (articoli 164 e 165; articolo 31, comma secondo CGA). E, poiché registro di contabilità viene sottoposto l’appaltatore della sua sottoscrizione al momento dell’emissione di ogni stato di avanzamento dei lavori, si può affermare che la domanda va formulata all’atto del primo stato di avanzamento immediatamente successivo al fatto che dà origine alla domanda;

–  conferma della domanda sul conto finale dei lavori (articolo 174, comma secondo e terzo, reg; articolo 31 comma secondo reg).

A queste disposizioni , specificamente per le ipotesi  di  sospensione dei  lavori,  testualmente l’art 133 , comma 8 reg  richiede che  “ le contestazioni dell’appaltatore in merito alle sospensioni dei lavori devono essere iscritte a pena di decadenza nei verbali di sospensione e di ripresa dei lavori “ e l’art 24 , comma 3 del dm 145 / 2000 . L’appaltatore che ritenga cessate le cause che hanno determinato la sospensione temporanea dei lavori ai sensi dei commi 1 e 2, senza che la stazione appaltante abbia disposto la ripresa dei lavori stessi, può diffidare per iscritto il responsabile del procedimento a dare le necessarie disposizioni al direttore dei lavori perché provveda a quanto necessario alla ripresa. La diffida ai sensi del presente comma è condizione necessaria per poter iscrivere riserva all’atto della ripresa dei lavori, qualora l’appaltatore intenda far valere l’illegittima maggiore durata della sospensione”.

Orbene,  emerge che,  quando si è in  presenza di una sospensione lavori che l’appaltatore  paventi come illegittima, quest’ultimo ha l’onere di iscrivere immediatamente la contestazione nei verbali di sospensione e ripresa lavori.  Si  sottolinea come  il legislatore per detto caso specifico utilizzi una diversa terminologia,  non parla di riserve, quindi  di vere e proprie domande ,che abbiano una causa petendi ed un petitum   ma ricorre ad un vocabolo indicativo di minore formalità e contenuto.

Per quanto riguarda, poi, l’onere di iscrizione sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverlo, successivo  all’insorgenza o alla cessazione del fatto,   va , innanzitutto,  rilevato che poterebbe dubitarsi che detto atto  sia il verbale di sospensione, vuoi perché per esso  il legislatore , come  detto poc’anzi,  ha già previsto specificamente  una minore formalità, vuoi perché  esso non appare essere concettualmente  successivo ma , nel caso che ci occupa, coevo all’insorgenza del fatto (non risulta, infatti un precedente provvedimento amministrativo  emanato dalla p.a e notificato all’appaltatore).   In ogni caso,  poi,  la formulazione letterale della norma gli atti successivi all’insorgenza o alla cessazione del fatto autorizza a  ritenere che concretizzano ipotesi alternative, potendo la ditta appaltatrice formulare la riserva o negli uni o negli altri. La congiunzione “o “ è, infatti,da  intendersi , per il contesto in cui è inserita,  alternativa, sinonimo di  ovvero, oppure  che coordinano, opponendoli o comunque distinguendoli più o meno energicamente, gli elementi di una proposizione o più proposizioni tra loro.

Ciò considerato,  va osservato che , ad avviso del Collegio ,  l’ATI ha sottoscritto con riserva il verbale di sospensione dei lavori ed, in calce allo stesso , ha esplicato  anche più di  una semplice contestazione – come peraltro,  previsto dalla normativa- essa, infatti ha esposto   chiaramente, sia pure succintamente, gli elementi atti ad identificare la pretesa: illegittimità della sospensione e richiesta di  risarcimento danni conseguenti a fermo operativo  riservandosi di effettuare la relativa quantificazione al cessare dell’evento suscettibile di recare pregiudizio.

L’appaltatore,  così facendo,  ha segnalato correttamente  alla parte committente il verosimile maggiore esborso , salvo poi precisarne le relativa  entità nelle registrazioni successive ed in sede di conto finale  (cfr : lodo Roma 19.12.2008 n. 175 )

Trattasi, infatti, di un fatto potenzialmente dannoso continuativo.

Per fatti continuativi devono  intendersi gli avvenimenti il cui  perdurare nel tempo ha in sé una carica dannosa non solo di carattere permanente ma suscettibile di essere apprezzata nel tempo per la sua potenzialità di produrre alterazioni nello svolgimento dei lavori. Essi sono fattori di pregiudizio per l’appaltatore legati a comportamenti dell’appaltante che,  in correlazione al loro protrarsi possono alterare in danno dell’appaltatore equilibrio economico dell’esecuzione contrattuale. (Collegio arbitrale Roma 19 11.004).

La giurisprudenza ha pacificamente ritenuto che “Negli appalti di opere pubbliche, l’onere di iscrizione della riserva per fatti continuativi che rendono anomala l’esecuzione dei lavori non sorge con la semplice sopravvenienza di circostanze impeditive  della regolare esecuzione dei lavori, ma quando l’efficienza causale della situazione e la sua idoneità a rendere definitivamente più gravosa la prestazione dell’appaltatore si manifestino in modo obbiettivamente apprezzabile da parte dell’appaltatore stesso” ( Lodo Roma 23 dicembre 2005 n. 838 ) “

Il fatto continuativo non dà luogo ad un’ipotesi di deroga al principio di generalità della riserva ma si riflette sul momento in cui l’onere di iscrizione e di esplicazione  si manifesta, nel senso che il momento iniziale coincide con quello in cui l’Appaltatore dovrebbe trarre – con ordinaria diligenza – la percezione della loro incidenza economica, mentre la definitiva quantificazione va sempre collegata quanto meno alla cessazione della continuazione .

In altri termini può affermarsi in linea con la  giurisprudenza di legittimità che “ l’appaltatore che pretenda un  maggiore compenso o rimborso, rispetto al prezzo contrattualmente pattuito, a causa del pregiudizio o dei maggiori esborsi conseguenti alla sospensione dei lavori disposta o protratta dall’Amministrazione, ha  l’onere di scrivere la relativa riserva nel momento in cui emerga, secondo una valutazione riservata al giudice del merito, la concreta idoneità del fatto a produrre suddetti pregiudizi o esborsi, nel senso che, al riguardo, si deve distinguere il momento nel quale il danno sia presumibilmente configurabile da quello in cui esso sia precisamente quantificabile, suggerendo l’onere di iscrivere la riserva dal primo di tali momenti e potendo, invece, la specifica quantificazione operarsi nelle successive registrazioni. Sicché nell’eventualità che la sospensione possa essere illegittima sin dall’inizio, l’appaltatore deve inserire la sua riserva nello stesso verbale di sospensione e dovrà poi riscrivere regolare riserva  nel registro di contabilità quando egli successivamente lo sottoscriva ripetendo quindi la riserva stessa nel verbale di ripresa e nel registro di contabilità successivamente firmato, mentre, invece, vuoi nel caso in cui la sospensione dei lavori non presenti immediata rilevanza onerosa, giacché l’idoneità del fatto a  produrre il conseguente pregiudizio o  esborso emerga soltanto all’atto della cessazione della sospensione medesima, vuoi nel caso in cui quest’ultima, originariamente legittima, diventi solo successivamente illegittima, la relativa riserva non potrà  essere apposta nel verbale di ripresa dei lavori o, in mancanza di tale verbale nel registro  di contabilità successivamente firmato, ovvero , in caso di ulteriore mancanza di quest’ultimo registro, essa deve essere tempestivamente comunicata l’amministrazione mediante apposito atto scritto. ( Cass Civ Sez I 10 agosto 2207 n. 17630 e conf Cass 23 settembre 2003 n.14110 ) .

Nel caso in esame la sospensione decisa dalla Direzione Lavori per il venir meno, allo stato, della copertura finanziaria essendo scaduta la convenzione era apprezzabile sì, ab origine nella sua verosimile illegittimità  ma, non essendo ancorata a scansioni temporali individuabili non consentiva, a priori, una valutazione limpida del danno risarcibile nelle varie componenti legislativamente previste , detto danno , ormai evidente  anche a seguito dell’atto di diffida del 17.10.2007 ex art 24 reg del tutto improduttivo di effetti,veniva dall’ATI indicato analiticamente  nel registro di contabilità all’atto della sottoscrizione del terzo SAL con esplicita riserva che  l’impresa reiterava  nel verbale di ripresa lavori e nel conto finale.

Appare , pertanto, evidente che l’ATI non è incorsa in alcuna  decadenza e legittimamente insta nel presente giudizio perché sia riconosciuto il suo diritto al  risarcimento dei  danni subiti a causa dell’illegittima sospensione.

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